Flussi di Sergio Benvenuto

NEGLECT. Riflessioni tra neuroscienze e filosofia07/apr/2018


 

Keywords: Unilateral Spatial Neglect – Meaning of “left” and “right” – Political space and sensitive space – Environment and real world - Signals and Noise  

 

Abstract: The author describes the neurological syndrome called Unilateral Spatial Neglect, and analyzes the reasons–not only neurological–for which it is generally the left side of something which patients “neglect”. This specificity explains the meanings that left and right hold in almost all cultures (including today’s political sense), and shows the neurological basis for these different cultural meanings. In the second part, the author widens the scope of his analysis, to ask if we can think of any case involving a universal “neglect” of something by humanity as such--something which, in any case, sometimes breaks our “environmental” space of meanings.  The author develops the distinction between “environment” and “world” elaborated by von Uexküll and Heidegger, in order to outline the space of this “real” which we, as Homo sapiens, are all driven to neglect. 

 

Non sapere di sapere

 

         Come già Maurice Merleau-Ponty (1945) mostrò a suo tempo misurandosi con le allucinazioni, una lesione neurologica può offrire alimento alla riflessione filosofica. Credo che anche la Hemispatial Neglectpossa nutrire questioni filosofiche. Qui mi riferirò a essa come USN (unilateral spatial neglect). Nome ben scelto, dato che non si tratta propriamente di blindness(cecità) e nemmeno di ignoring(non curarsene, non farci caso), ma di qualcosa tra i due: la trascuratezza o negligenza sta tra la cecità e la noncuranza. Quando si è ciechi, si sa di esserlo; mentre gli affetti da Neglect sono anosognosici: non sono consapevoli di questa loro faziosità spaziale, per dir così, a meno che non lo si dimostri loro. 

Sono anosognosici anchegli affetti da un modo di “percepire” che possiamo considerare inverso all’USN: la sindrome di Anton. Questi pazienti sono ciechi corticali (di solito per un danno occipitale) ma credono ancora di vedere. La sindrome di Anton è l’equivalente visivo dell’arto fantasma, la sensazione – che hanno quelli amputati di un arto – di avere ancora il braccio o la gamba che non c’è più. Potremmo chiamare la sindrome di Anton “la visione fantasma”. Questi pazienti si muovono nell’ambiente senza vincoli e precauzioni, dato che sono convinti di vedere. Ora, dell’esperienza di questi soggetti colpisce proprio il modo in cui essi disconoscono la loro cecità; si costruiscono razionalizzazioni per mantenere la loro credenza. Se, per esempio, muovendosi in una stanza uno di loro va a sbattere contro un mobile, attribuisce l’incidente non alla propria cecità ma al fatto che il mobile era “fuori posto” (Sacks 2011, 236). 

Difficile stabilire un nesso preciso tra USN e l’emisomatoagnosia, quando cioè il soggetto non sente la parte sinistra del proprio corpo. Uno cadde dal letto cercando di spingere fuori da esso il proprio braccio sinistro, pensando che fosse quello di un altro. Anche questi soggetti – come quelli della visione fantasma e gli USN - sono anosognosici; non vogliono riconoscere la loro carenza. Se per esempio qualcuno attira l’attenzione dell’emisomatoagnosico sul suo braccio sinistro, che egli non può non vedere, dirà che quello è il braccio di un altro, ad esempio del medico, o addirittura – rischiando la diagnosi di psicosi - “un braccio che qualcuno ha lasciato là”. Lacan direbbe che sono affetti da una forclusion– preclusione, esclusione – della loro mancanza.

Ritroviamo qui una tendenza a razionalizzare ciò di cui non abbiamo esperienza che era stata rilevata già nell’Ottocento nella pratica dell’ipnosi. L’ipnotista dava al soggetto in sonno ipnotico un ordine assurdo, per esempio rovesciare vari bicchieri vuoti poggiati su un tavolo; e gli ordinavaanche di non ricordarsi di aver ricevuto questo comando. Una volta risvegliatosi, il soggetto ben presto eseguiva l’ordine. E quando l’ipnotista gli chiedeva “Ma perché hai fatto questa cosa?”, il soggetto dava sempre una risposta razionalizzante del tipo “Non voglio che la polvere si accumuli nel cavo dei bicchieri”. Questo disconoscimento razionalizzante di ciò che ci forza ad agire e a credere dovrebbe permetterci di generalizzare sulla struttura del rapporto dell’essere umano con il proprio sapere.

 

         Torniamo all’USN, di solito dovuta a una lesione al giunto tempo-parietale, e alla corteccia parietale posteriore, del cervello. Chi ne è affetto rileva solo una parte del proprio campo visivo, e non ‘vede’ l’altra parte, quasi sempre la sinistra. Cosa che porta a situazioni da teatro dell’assurdo. Ad esempio, la signora S. - seguita da O. Sacks (1986) – divenuta ‘negligente’ a seguito di un ictus massivo, quando decideva di mettersi il rossetto, si dipingeva solo la metà destra delle proprie labbra, tralasciando completamente la metà sinistra. Se glielo si faceva notare, S., una sessantenne colta e intelligente, lo capiva intellettualmente e ne rideva, ma le era impossibile percepirlo direttamente. Sapeva, ma non le importava. 

         Se si chiede al ‘trascurante’ di disegnare un orologio, disegnerà solo i sette numeri da 12 a 6 a destra; oppure traccerà tutti i dodici numeri, ma tutti disposti nella parte destra dell’orologio. Questo vale anche con le parole; così in una parola come “abitazione” il soggetto legge solo “azione”.

Quindi, mentre chi è affetto da visione fantasma di Anton non riconosce come inesistente qualcosa che lui vede, l’affetto da USN non riconosce come esistente qualcosa che per certi versi vede.  

 

Percezione inconscia

L’USN ha due varietà. Certi soggetti possono vedere solo gli oggetti che sono alla destra della loro linea mediana di visione – si parla allora di ‘negligenza egocentrica’. Altri soggetti invece possono vedere tutti gli oggetti del loro campo visivo, anche quelli alla loro sinistra, ma di ogni oggetto percepito vedono solo il lato destro – si parla allora di ‘negligenza allocentrica’, certamente la più interessante per il filosofo. Ad esempio, se si mostra al soggetto la foto di una testa alla rovescia, il soggetto sarà capace di metterla nella posizione giusta, ma allora ignorerà la parte sinistra di questa foto che pure aveva descritto benissimo quando la foto era rovesciata. 

In altri casi accade invece il contrario. A un soggetto si mostra l’immagine allo specchio di una mappa terrestre, egli può non vedere la parte occidentale di questa mappa, anche se grazie al rovesciamento speculare l’Occidente ora è a destra! Lo specchio non compensa una negligenza che si è già consumata, direi, il soggetto se la porta dietro anche attraverso il rovesciamento. 

L’USN non si limita alla percezione, investe anche la vita immaginativa. Edoardo Bisiach e Claudio Luzzatti (1978) descrissero i casi di due pazienti con emianopsia a seguito di ictus. Quando si chiedeva di immaginare se stessi camminare lungo una strada che conoscevano bene e di descrivere ciò che “vedevano”, essi menzionavano solo i negozi sul lato destro; ma quando si chiedeva loro di immaginare di voltarsi e tornare indietro, descrivevano i negozi che prima non avevano “immaginato”, quelli che ora si trovavano al loro lato destro.  Casi del genere, sia detto anche, mostrano che tra esperienze percettive ed esperienze immaginative visuali non c’è quell’abisso ontologico che certe filosofie fenomenologichepresumono (Penso in particolare a Sartre, 1940).

         Bisogna dire però che, per altri versi, queste esperienze portano acqua al mulino della fenomenologia nella misura in cui scardinano la filosofia empirista della percezione, secondo la quale noi percepiamo solo punti colorati e poi – grazie alla riflessione – li giudicheremmo come alla nostra sinistra o alla nostra destra. Questi casi ci dicono che essere-a-destra-di-me o essere-a-sinistra-di-me sono di per sé oggetti di percezione, non meno che percepire il rosso o il verde (difatti ci sono dei soggetti che non li percepiscono, i daltonici). 

 

         Non si può parlare veramente di cecitàalla parte sinistra (e molto raramente alla parte destra) del campo visivo perché non c’è nulla di più relativo, soggettivo e mutevole dello stare alla nostra sinistra o alla nostra destra. Perché la parte sinistra di un insieme, di un olon, risulti tale, occorre che io in qualche modo percepisca questo tuttoproprio per poter discriminare una sinistra che non vedo e una destra che vedo. Ad esempio, l’emiagnosico allocentrico, posto di fronte a una pizza rotonda, mangerà solo la parte destra della pizza, ma questo implica che egli abbia previamente identificato l’intera pizza come un tutto, con un versante sinistro e uno destro. Se si trattasse di negligente egocentrico, allora gli basterebbe girare leggermente la testa a sinistra e la sinistra della pizza, spostandosi alla sua destra, entrerebbe nel campo della sua attenzione. Ma l’affetto da USN allocentrico ignora la sinistra di un qualsiasi oggetto indipendentemente dalla sua posizione rispetto alla linea mediana del proprio campo visivo. Egli deve ‘percepire’ inconsciamente la parte sinistra di ogni cosa proprio perché sa, anche se inconsapevolmente, che quella cosa è intera. Insomma, a un tempo percepisce e non percepisce la parte sinistra. Ad esempio, se un emiagnosico allocentrico sta davanti a una pizza e gli si dice “tira la pizza alla tua destra, così vedrai anche la parte sinistra”, il malato non riuscirà a farlo. La sua negligenza allocentrica della sezione sinistra della pizza tende a confermarsi anche se, di fatto, la parte sinistra slitta alla destra del suo campo visivo.

         La paziente di Sacks di cui abbiamo già parlato aveva escogitato un sistema ingegnoso per “ritrovare” la parte sinistra di qualcosa. Quando mangiava una torta, ne mangiava solo la parte destra, ma, seduta su una sedia girevole, ruotava completamente a destra di circa 360 gradi fino a ‘scoprire’ la parte sinistra della torta, dato che questa ora compariva alla sua destra. Ritrovata la parte restante, ne mangiava… la metà destra. Faceva un altro giro, ritrovava la parte che restava, e ne mangiava la metà destra.  Insomma, lasciava parti della torta che rimpicciolivano a ogni giro. La signora S., che non mancava di cultura, si paragonava alla freccia di Zenone Eleatico. E ad Achille che si avvicina asintoticamente alla tartaruga, senza mai raggiungerla.

         Questo suo girare con la sedia verso destra è comunque molto istruttivo: questo le permetteva in effetti di ritrovare la torta come un tutto alla sua destra, e così mangiarne la parte destra. Ovvero, il tutto è presupposto al primato della destra, anche se non viene mai intuito come tale. 

 

Destra versus sinistra

 

         Il fatto che il neglectcolpisca per lo più il lato sinistro può stupire, dato che, nella nostra cultura razionalista, pensiamo che destra e sinistra si equivalgano. Nessuno pensa più che il mancinismo sia un handicap o un segno diabolico. Pensiamo di essere ‘neutrali’ rispetto al lato destro o sinistro del nostro campo visivo. Insomma, non diamo alcun ‘senso’ al fatto che qualcosa si trovi a sinistra o a destra di noi. Ma l’USN ci mostra che, in realtà, le cose non stanno così: che essere-a-sinistra-di ed essere-a-destra-di sono posizioni piene di senso, anche se noi razionalisti siamo ciechi a questo senso. In effetti, perché questa ‘preferenza’ della nostra mente naturale per la destra? 

Nell’USN si trascura la parte sinistra a causa di una lesione dell’emisfero cerebrale destro; invece, le lesioni all’emisfero cerebrale sinistro non comportano, di solito, un neglectdella parte destra. Perché? L’emisfero destro è specializzato nella percezione spaziale e nella memoria, ovvero nella dimensione spazio-temporale del nostro rapporto al mondo; mentre l’emisfero sinistro è specializzato nel linguaggio, quindi nei concetti. In termini più filosofici: l’emisfero destro privilegia il sensibile, l’emisfero sinistro privilegia l’intelligibile. Quindi la parte sinistra del nostromondo ci appare – anche se non siamo consapevoli di questo apparirci - quella ‘sensibile’, ovvero proprio quella parte che, sin dall’antica Grecia, i filosofi spesso disprezzano, dato che è quella che abbiamo in comune comune con altri animali. Perché il linguaggio, la capacità simbolica, sono riservati a Homo sapiens. Insomma, il nostro cervello investe la destra come qualcosa di concettuale, di ‘alto’, e investe la sinistra come qualcosa di percettivo e affettivo, di animale, di ‘basso’.

         Entrambi gli emisferi investono in modo ridondante il campo visivo destro, che gode quindi di un privilegio non solo cerebrale. L’emisfero destro è in grado di compensare le perdite della funzione dell’emisfero sinistro, ma non viceversa; in altre parole, il sensibile compensa l’intelligibile, ma non viceversa. Senza il sensibile, l’intelligibile è cieco. E’ come se la parte-destra-del mondo-per-noi avesse due genitori, per cui se ne muore uno resta l’altro; mentre è come se la parte-sinistra-del-mondo-per-noi avesse un solo genitore, per cui se questi muore resta completamente orfana e negletta. Ora, se un deficit della parte ‘sensibile’ del cervello comporta l’USN della sinistra, mentre un deficit della parte ‘intelligibile’ non comporta USN della destra, la conclusione si impone: la distinzione destra/sinistra è qualcosa dell’ordine più del sensibile che dell’intelligibile. Il che conferma le conclusioni anti-empiriste a cui abbiamo accennato più sopra. (Gli emuli di Lacan direbbero: la distinzione destra/sinistra è dell’ordine immaginario, non simbolico.)

         Direi anzi: l’essere-a-sinistra-nel-mondo rientra nella dimensione sensibile e mnestica del nostro essere-nel-mondo, mentre la nostra parte intelligibile è indifferente rispetto alla distinzione destra/sinistra. Intellettualmente pensiamo che la distinzione sinistra/destra non sia importante, sensibilmente invece essa è molto importante. Ovvero, il nostro intelletto non è sensibile, se mi si permette il gioco di parole, a un certo ordine del sensibile. Insomma, a dispetto delle apparenze del mondo e del nostro ‘vissuto’ cosciente, c’è un primato (che è difficile determinare) della destra rispetto alla sinistra. Privilegio perfettamente recepito dalle culture umane.

 

In effetti, come è noto, questa asimmetria tra sinistra e destra è rilevata e ampiamente sfruttata dalle lingue e dalle culture. La gerarchia destra/sinistra non sarebbe insomma una superstizione dei secoli bui, ma avrebbe basi neurologiche precise.

In moltissime lingue il termine per ‘destra’ è molto simile o eguale al termine per ‘dritto’ o ‘giusto’. Così nel Rechtetedesco. Rightin inglese significa sia destra, sia diritto, sia aver ragione (“I’m right”, “ho ragione io”). In francese droite(destra) rimanda a droit(drittto). In portoghese direitasignifica sia destra, sia dritta, sia diritto in senso giuridico. In italiano si dice “un tipo destro” per dire uno abile, efficiente. In russo, "pravyi", destra, è anche "giusto", "dritto"; “legge” in russo si dice "pravo"; andar dritti è "napravo". Ecc.

In varie culture, essere alla destra di qualcuno è un privilegio. Già secondo gli indovini romani, destra era il lato dei buoni presagi, dell’abilità e del successo; per i teologi medievali essa era il lato divino e diurno; era un onore speciale stare alla destra del re o dell’imperatore. Quando si passeggia, la donna deve stare alla destra dell’uomo.

         All’inverso, per i teologi sinistra era il lato dei dannati e dell’inferno, della notte, dei cattivi presagi e degli insuccessi. In tante lingue il termine per sinistra evoca qualcosa di goffo, o losco, o inquietante, o nefasto, o allarmante, o tutte queste cose insieme. E’ qualcosa di perfido o maldestro - mal-destro. In italiano si dice “un tipo sinistro”; e ‘sinistro’come sostantivo significa incidente e sciagura. In spagnolo sinistraha un senso maligno, mentre izquierdaè termine più neutro. In francese gauchesignifica sia ‘sinistra’ che ‘goffo’, impacciato. Anche in tedesco Linkeè la matrice di linkisch, imbranato. Leftin inglese è sinistra, e left-handedè uno ambiguo, equivoco. In inglese poi leftcome sinistra è omonimo di left‘lasciato’, per cui potremmo dire che per l’inglese la sinistra è ciò che è stato tra-lasciato, escluso, left over. In russo "levyi", sinistra, è anche “sbagliato”; in russo “andare a sinistra” significa anche “essere infedeli” al proprio compagno o compagna.

         Per secoli, la mano sinistra era quella del diavolo. Così, a lungo si è pensato che questo privilegio semantico della destra sulla sinistra fosse il risultato di pregiudizi culturali arcaici. Ma, come abbiamo visto, questa tendenziale identificazione della ‘destra’ al ‘dritto’ sembra avere invece basi cerebrali, innate. Insomma, il pregiudizio culturale sarebbe quello di noi moderni, ciechi a una differenza semantica tra sinistra e destra radicata nel nostro cervello.

         Perciò l’USN, un handicap fisico, ci interessa per il suo alone metafisico. In effetti, i colpiti da USN sono soggetti che sembrano voler vedere solo la parte ‘giusta’, importante – la parte diritta-destra - e sembrano rifiutare di vedere (forclusion) la faccia sinistra, misera e secondaria del mondo. In questo senso, amplificano a dismisura un tropismo che a nostra insaputa appartiene a noi tutti, anche se tutti lo trascuriamo.

 

Sinistra perdente

         Del quadro politico, si dice che “la sinistra” abbia preso questo nome per una semplice convenzione, dovuta alla posizione assunta dai deputati alla Costituente, l’Assemblea al tempo della Rivoluzione francese. Allora i più moderati sedevano alla destra del capo dell’assemblea, i più radicali alla sua sinistra. Ma credo che non a caso la parte politica detta sinistra si chiami così.

In effetti la sinistra politica si identifica come quella parte che sostiene “i più deboli", ovvero, si occupa proprio delle parti trascurate della società. Mi chiedo anzi: proprio perché “la sinistra” si definisce per il suo accorgersi dei marginali, di chi è povero o discriminato, non è essa politicamente handicappata, inauguralmente, proprio da questo? Forse per questa ragione la sinistra americana tende a non usare il termine left, e si fa chiamare piuttosto liberaldemocrat. L’aver accettato il nome ‘sinistra’ non implica in qualche modo l’ammissione di una inferiorità, anche se da riscattare? Analogamente, non è affatto casuale che la destra si chiami destra.

         Abbiamo detto che per le neuroscienze il nostro rapporto al mondo è asimmetrico. Che la parte destra del nostro corpo e del mondo è ampiamente investita da entrambi gli emisferi, è insomma la parte più “ricca”, più importante; mentre la parte sinistra del corpo e del mondo è investita prevalentemente dall’emisfero destro, più ‘emotivo’, è insomma la parte “povera”, più marginale. 

         Ogni volta che parlo con persone che odiano la sinistra, e abbastanza incolte o stupide da essere sincere, viene fuori sempre questa denuncia: “la sinistra ci vuole livellare tutti, ridurci tutti a poveracci!” Mentre la destra viene identificata a qualcosa di potente e ambizioso – ai ricchi, a uomini e donne di successo, a Dio, alle gerarchie ecclesiastiche, alla polizia – la sinistra viene connessa, invece, agli “sfigati”, che schiumano di invidia per chi è ricco o ha successo.

E in effetti la sinistra, da quando è chiamata così, elegge come suoi eroi fasce sociali che di volta in volta appaiono come le più “trascurate”. Il suo compito è di ricordarci l’esistenza di quel lato della società che non vogliamo o non riusciamo a vedere, e che comunque non ‘guardiamo’. Socialmente tutti tendiamo alla sindrome del neglect

L’impresa della sinistra politica è allora particolarmente impervia, se è vero che c’è un’omologia tra parti dello spazio e parti della società. E’ come se la sinistra cercasse di compensare uno sbilanciamento neurologico innato verso la destra proponendosi come cura di quel neglect– in questo caso politico – del lato debole della società e della vita. Il paradosso è che la sinistra politica, per mettere in evidenza la parte sinistratadella società, deve fare appello proprio al nostro emisfero sinistro, cioè alla parte più razionale, insomma più destra. E’ un po’ come la paziente di Sachs: non vede la propria sinistra, ma sa che non la vede, e proprio per questo deve operare un giro sia fisico che mentale di 360°. Chi si schiera per la sinistra deveinsomma compiere una torsione mentale complessa e completa, alquanto vertiginosa, di cui non tutti sono capaci: deve fare appello massiccio proprio alla parte ‘destra’ (più razionale) per riuscire a superare un riflesso spontaneo dovuto alla nostra struttura cerebrale, che inconsciamente ci fa trovare sinistrotutto ciò che è “a sinistra” nel mondo.

 

Choc ontologici

Il fatto che l’USN non sia appunto semplice cecità la rende filosoficamente interessante. Ovvero, ci si chiede fino a che punto e in qual senso questi soggetti trascurinola parte sinistra.  

Da tempo si tentano delle cure che cercano di rieducare un soggetto USN a vedere la parte sinistra. Tra i vari tentativi di trattamento c’è quello di inserire uno stimolo molto forte e vistoso nella parte sinistra del campo visivo, sperando che il soggetto lo noti. 

         Io farei questo esperimento: si metta il soggetto di fronte a un quadro che comprenda due guantoni, uno a destra e l’altro simmetricamente a sinistra, il sinistro connesso a una molla dietro il quadro. Gli si chiederà di descrivere il quadro e i suoi oggetti. Mentre il soggetto descrive il guantone destro, ignorando ovviamente il sinistro, allora la molla fa scattare il guantone sinistro che lo colpirà duramente sulla parte sinistra del volto rispetto a lui stesso, e poi sulla parte destra. Potrà più ignorare il guantone sinistro? Certamente no, anche se non sono chiari i modi in cui nonlo ignorerà. Ad esempio, che tipo di differenza ci sarà tra il dolore del pugno sulla faccia destra e quello sulla faccia sinistra?

         Sacks tentò uno choc simile, non fisico ma cognitivo – ben più sofisticato di quello proposto da me - con la signora S. La mise di fronte a un apparato televisivo, sistemando sia la telecamera che lo schermo di fronte a lei: in questo modo lei doveva per forza vedere la parte sinistra (rispetto a se stessa) del suo viso alla destra dello schermo, proprio come se un altro la stesse guardando in faccia. Il risultato fu che la poveretta si angosciò e urlò “portate via questo schermo!” Suppongo che l’orrore derivasse dal fatto che in quel modo lei vedeva la parte sinistra del proprio corpo, che però, a seguito dell’ictus, non avvertiva più come esistente. In altre parole, vedeva (?) qualcosa che non esisteva per lei. Avveniva il contrario di quel che accade ai vampiri della leggenda, i quali non appaiono riflessi negli specchi: qui, al contrario, lei vedeva riflesso qualcosa di non esistente. Si trattò di uno shock ontologico: il sovrapporsi di percezione e non-percezione, di esistente e non-esistente.

         Ma appunto, l’esperienza per cui appare esistente qualcosa che non esiste nemmeno nell’immaginazione è qualcosa che il pensiero razionalista ha grandi difficoltà a concettualizzare e ad accettare come possibile.

Io direi, riprendendo qui un concetto di Jacques Lacan, che quel marchingegno provocòin Ms S. una sensazione del tutto particolare – molto simile a quella che i tedeschi chiamano unheimlich, spaesante, perturbante  - perché la esponeva a un incontro col Reale. Le si mostrò qualcosa che non apparteneva al suoUmwelt, ambiente, anzi lorompeva. Per Reale intendo quindi qualcosa di inconcepibile che talvolta però appare, con nostro grande orrore o sorpresa. Sia il guantone sinistro che colpisce in faccia chi è affetto da Neglect, sia la propria parte sinistra vista nello schermo a destra come nel caso della signora di Sacks, sono esempi inquietanti, spaesanti, di rapporto di un soggetto con qualcosa che non si iscrive nella realtà, ma che in qualche modo si imponecome Reale. Il Reale in effetti è qualcosa che non esiste o non dovrebbe esistere per un soggetto, e che comunque, in qualche modo, fa evento. Evento inconcepibile, di cui però, come suol dirsi “dobbiamo farcene una ragione”.

“La natura ama nascondersi”, “physis krúptestai philèi”, diceva Eraclito (Fr. 28);ma potremmo aggiungere: ama nascondersi perché non vogliamo vederla affatto.

Ora, parliamo dei soggetti USN come di handicappati perché noi non emiagnosici ci accorgiamo di qualcosa di cui loro non si accorgono. Ma la domanda impertinente, ovvero filosofica, è allora: e se tutti gli esseri umani, o quasi tutti, fossero affetti da una qualche forma di negligenza?  Non della parte sinistra delle cose, ma di una parte trascurata, e quindi inquietante, del mondo? 

In effetti, l’ipotesi che tutti noi trascuriamo qualcosa – anche se ci è impossibile dire che cosa esattamente – non va trascurata. Direi anzi: questa è l’ipotesi da cui trae alimento la riflessione filosofica, forse da sempre. Perché se dovessimo ammettere che tutti trascuriamo sempre qualcosa, dovremmo dire che la nostra visione del mondo, anche se universalmente condivisa, è non-totale.

         Ora, quel che conta non è riuscire a dire quel che avremmo trascurato – perché per definizione questa trascuratezza non può essere detta da quel supposto “malato” che è l’essere umano - ma di capire, far capire che siamo “costruiti” per trascurare qualcosa che non possiamo dire. Anche se talvolta ci si impone.

 

 

Un positivista obietterà: “che senso ha porsi il problema di qualcosa di cui nessunessere umano può avere esperienza?” Per questa ragione ipotesi come l’esistenza di Dio o la vita dopo la morte non vengono prese nemmeno in considerazione dal pensiero moderno: Dio e la vita post mortempotrebbero esistere, in ogni caso non si manifestano a noi vivi. Oggi molti pensano che ciò che non si manifesta a noi in modo sensibile o intelligibile ipso factonon esiste; pensiamo di perdere il nostro tempo a occuparci di qualcosa che non si è manifestato né si manifesta a qualcuno di noi. (Certamente molti dicono di avere “fede” – in Dio, negli angeli, nella verginità della Madonna, ecc. Ma appunto, aver fedenon è avere esperienzadi qualcosa. Gran parte delle religioni storiche chiedono di aver fede in alcuni che hanno avuto un contatto diretto col divino. Ma pochi credenti avranno questa esperienza.)

In effetti, un soggetto affetto da USN sa di esserlo solo perché altri, che non ne sono affetti, glielo dicono. Ma se noi tutti trascurassimo una certa parte del mondo, chi o che cosa mai ci farebbe capire che la trascuriamo?

Ora, dire chetalvolta abbiamo esperienza di qualcosa che per noinon esiste non è una contraddizione in termini? Ma la paziente di Sacks, quando è costretta a vedere nel video la sua parte sinistra, vive qualcosa che non esiste eppure accade, cade nel “suo” mondo. Ci sono altri, non emiagnosici, che possono avere questa esperienza “impossibile”?

Sappiamo bene che alcuni dicono di avere esperienze di questo tipo, che chiamano misticheproprio perché pochi ce l’hanno, e che chi è anti-mistico invece non ha. Come visioni, messaggi dall’al di là, ecc. Ora, quelli che dicono di avere quell’esperienza “mistica”sonodegli illusi, degli allucinati? Oppure dobbiamo ammettere la possibilità che noi, a differenza di loro, siamo affetti da qualche neglect?  Il dubbio è legittimo.

Comunque, proprio gli esperimenti con gli affetti da USN ci mostrano che c’è qualcosa che si può manifestare a certi soggetti direi atipici. E forse ciascuno di noi è a rischio di esperienze atipiche: quando irrompe nel nostro ambiente qualcosa che non deveesistere. Quando c’è esperienza di qualcosa che non esiste per il soggetto. Un’esperienza paradossale di qualcosa di cui non si può avere esperienza.  

 

Segnali e rumore

 

Possiamo concettualizzare questo manifestarsi – saltuario, raro – di un qualcosa che non si manifesta “normalmente” a noi? Dobbiamo.

Pensiamo alla distinzione operata dal biologo Jakob von Uexküll (& Kriszat, 1934), allievo di Heidegger, tra Umwelt, ambiente (letteralmente ‘mondo-attorno’ a un organismo)e Welt, mondo.L’ambiente non è quell’insieme di cose e condizioni che vengono a trovarsi all’esterno di un corpo animale, insieme quasi uguale per tutti gli organismi che vivono in quello spazio – questo è piuttosto l’Umgebung, “i dintorni”. L’ambiente è invece quel che risulta rilevante, significativo, sempre e solo per un organismo di una data specie: è quell’insieme di tratti “portatori di significato” per l’animale, che costituiscono segnaliper luipertinenti, capaci cioè di innescare certe reazioni prescritte nell’organismo (Vedi anche Kalevi, 1998). Heidegger (1983) chiamò “disinibitore” (Enthemmende) il segnale ambientale portatore di significato. Questo vuol dire che varie specie possono abitare uno stesso territorio, comunque ogni specie avrà il proprio ambiente. Da qui un’affermazione di tenore kantiano di von Uexküll: «nessun animale può entrare in relazione con un oggetto come tale» (von Uexküll & Kriszat, 1956). Insomma, dell’universo che consideriamo conoscibile, di fatto, ci accorgiamo solo di quello che fa segnale per la nostra specie. E oltre il segnale, c’è solo rumore.

Nella teoria della comunicazione si distingue il segnaledal rumore. Ora, ogni organismo reagisce ai segnali del proprio ambiente, ma non può dare senso al rumore, che resta extra-ambientale, insomma non riconoscibile. Il rumore è il non-pertinente che ogni organismo trascura, anche se può avere effetti drammatici su questo organismo. 

La stranezza di Homo sapiens è che invece si interessa al rumore – al suorumore. Alcuni enti umani si interessano a qualcosa che non dovrebbe interessare loro affatto. In effetti, l’essere umano, per il solo fatto che distingue l’ambiente da un Reale ”rumoroso” oltre di esso, ipotizza questo Reale in quanto qualcosa che non lo disinibisce. L’essere umano (tutti gli esseri umani?) sache esso è costretto a trascurare il Reale, e questo sapere lo redime dalla anosognosia.

         Wittgenstein (1929, 1961) diceva cose alquanto vicine a quelle che sto dicendo qui quando scriveva di etica ed estetica. Ne parlava come “das Mystische”, il mistico: sono cose che non si possono direperché sono fuori del mondo. Eppure queste esperienze fuori del mondo si mostranonel mondo, ma proprio come fuori-del-mondo. Chiamo qui Umwelt, ambiente, quel che Wittgenstein chiamava Welt, mondo. Quindi, gli atti etici, le grandi opere estetiche – e forse il rapporto col divino, l’enthusiasmosdegli Antichi – si mostrano come oltre l’Umwelt. Tutte queste cose sono una sorta di invisibile parte sinistra della nostra esistenza.

La dimensione etica e l’esperienza estetica ci turbano proprio perché sono “rumore” rispetto all’ambientalità a cui siamo correlati. L’etica ambientalista, per dir così, è quella utilitarista (Hume, Bentham, Mill…). Per l’utilitarismo fare del bene è dare piacere a se stessi o agli altri. Come abbiamo visto però, la massimizzazione delpiacere è solo un mezzo per il fine ultimo secondo il naturalismo moderno: l’etica sarebbe una strategia di riproduzione dei nostri geni. Kant chiamava “patologico” questo universo degli affetti e delle emozioni su cui gli imperativi etici “ipotetici” sarebbero fondati secondo l’utilitarismo. Ma l’atto etico autentico rompe questa “patologia” dell’utilità, perché ci butta in faccia, direi, quel che sempre trascuriamo nella nostra vita utilitaria: il richiamo assolutodel bene dell’altro come qualcosa che ci costringe al di là del nostro mondo comune. Mentre nei nostri rapporti “ambientali” con gli altri tutto è relativo, l’atto etico ci appare talvolta persino folle (non fu folle l’atto del carabiniere D’Acquisto, ad esempio?) perché sembra far irrompere nel mondo dei segnali utilitari una sorta di divinità dell’altro. Madre Teresa di Calcutta diceva (ma lo hanno detto anche altri filantropi) che in ogni povero o malato che lei soccorreva vedeva il volto di Cristo. E’ dire in termini cristiani quel che un soccorritore ateo potrebbe dire altrimenti: che metto a rischio la mia vita per soccorrere magari uno sconosciuto, perché questi in pericolo è come se fosse Dio stesso a fare appello a me.

Analogamente, quando un’opera d’arte ci dà una profonda emozione, sentiamo che essa va ben al di là dei piaceri utilitaristi che ci danno il bello o il sublime: l’opera ci scombussola - “ci cambia la vita”, come suol dirsi - perché ci impone aspetti od oggetti che avevamo sempre trascurato nel nostro essere nel mondo-ambiente, quello che per noi ha senso. L’insensatezza degli oggetti esteticamente conturbanti è connessa alla loro non esistenza (l’arte opera sempre con parvenze o forme) che li aveva sottratti alla nostra attenzione. L’oggetto artistico è sempre ai limiti del nostro Umwelt: ha una faccia che certo è Umwelt(bellezza, seduzione, divertimento, grazia) ma ha un’altra faccia di sinistro “rumore”, che sfida la coerenza del nostro ambiente, e che talvolta è vissuta come orrore.

         In questa prospettiva, l’interpretazione utilitarista dell’etica, dell’estetica, ecc., mi sembra essere l’equivalente filosofico dell’anosognosia di cui abbiamo parlato a proposito della visione fantasma di Anton o di chi è sotto influsso ipnotico: è un modo di razionalizzare qualcosa che per lo spirito positivo (per il quale la realtà coincide con l’ambiente) è di fatto assurdo, impensabile. Etica, estetica, mistica, sono l’impensabile che forza il pensiero razionale, chiuso nell’ambiente umano, a “giustificare”. Il paziente con visione fantasma dice di aver sbattuto contro il mobile perché era fuori posto, mutatis mutandisil positivista dirà che un atto etico esorbitante – come quello di D’Acquisto che abbiamo evocato – ha comunque un senso utilitarista.

Perché queste esperienze etiche, estetiche o mistiche – il non-disinibente, il rumore, l’extra-ambientale, l’orrore che si crede impossibile – ci manifesta non la realtà ambientale ma il Reale. Ciò che appunto, per definizione, trascuriamo. E che pure, talvolta, si manifesta a noi come trauma. In altri termini: la vita etica, estetica, mistica non sono in relazione a “portatori di significato” nel senso di von Uexküll, ma in relazione all’insensatoReale.

 

 

 

Bibliografia

 

Bisiach, E. e Luzzatti, C., 1978, “Unilateral neglect of representational space”, in Cortex, 14, 1, pp. 129-33.

Heidegger, M., 1983, tr.it. I concetti fondamentali della metafisica. Mondo – Finitezza – Solitudine, Genova, Il Melangolo, 1999.

Kalevi, K., 1998, "On Semiosis, Umwelt, and Semiosphere". Semiotica120(3/4), pp. 299–310.

 

Merleau-Ponty, M., 1945, Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, pp. 391-402; tr.it. Fenomenologia della percezione, Milano, Bompiani, 2003, pp. 434-445.

Sacks, O., 1986, The Man Who Mistook His Wife For a Hat, cap. VIII; tr.it. L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi.

Sacks, O., 2012,Hallucinations,  Knopf/Picador, 

Sartre, J.-P., 1940,L’imaginaire, Paris, Gallimard.

von Uexküll, J. & Kriszat, G. (1934) Ambiente e comportamento, Milano, Il Saggiatore, 1967.  

 

Wittgenstein, L., 1929, A Lecture on Ethics; tr.it. Lezioni e conversazioni, Milano, Adelphi, 1967, pp. 5-19.

 

Wittgenstein, L., 1961, Tractatus logico-philosophicus, tr. it. Torino, Einaudi, 1964.

 

 

Flussi © 2016Privacy Policy