Flussi di Sergio Benvenuto

Soumisson. Sul libro di M. Houellebecq (2016)29/set/2016


 

           Alcuni amici mi hanno detto dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, Soumission (Sottomissione): “In fondo il libro non mi è piaciuto; ma ha qualcosa che mi ha turbato”. A me importa il fatto che un libro turbi, non il fatto che “sia scritto bene”. Ciascun lettore è duplice. Da una parte c’è un lettore che apprezza il romanzo come si deve, che sostiene le idee giuste, che risponde insomma al suo criterio educato di Letteratura. E c’è un altro lettore, un’altra parte nello stesso lettore, che si turba, che non sa che cosa pensarne, che è incantato… è quel che Barthes chiamò punctum, la cosa che punge, che ferisce.

           Effettivamente, in Sottomissione c’è qualcosa che punge: è il modo in cui un regime si impone in un paese “comprando”, per così dire, i suoi cittadini. E’ così che funziona il potere nelle società democratiche.

           Il protagonista narrante, François, è una variazione del tipo di Meursault, il gelido eroe de Lo straniero di Camus. Anche François in effetti sembra non affliggersi affatto per la morte della madre; qualche riflessione in più gliela ispira la morte del padre, morte che segue a ruota. Come il protagonista di Camus, anche François abita il mondo con una certa scanzonata indifferenza, da “straniero”. (Houellebecq deve essere consapevole di questa affinità con Camus, ci dice difatti che tra i vini preferiti del Nostro c’è proprio Meursault, marca realmente esistente.) La vera passione di François è l’opera di Huysmans, autore ottocentesco su cui si è specializzato, cosa che gli ha assicurato una degna carriera universitaria a Parigi. Il romanzo insiste sul fatto che Huysmans in età più tarda si convertì al cattolicesimo, e questo sembra anticipare la conversione del protagonista, ma non al cattolicesimo. L’altra passione del professore sono le donne, ma, come Huysmans, non riesce a legarsi a lungo con alcuna. Houellebecq ce lo descrive come sostanzialmente uno scrittore giunto alla fine della propria carriera creativa a 45 anni, che non andrà oltre analisi accademicamente impeccabili dell’opera di Huysmans.  

           E si potrebbe malignamente leggere nel protagonista una sorta di allegoria della Francia di oggi, paese scettico dove il benessere conta più dell’amore, paese ripiegato sul suo glorioso passato letterario, e che non ha più voglia di passioni.

           In un vicino futuro si confrontano al ballottaggio per le presidenziali francesi Marine Le Pen e il leader di un partito chiamato Fratellanza Mussulmana. Per non far vincere Le Pen, i partiti tradizionali di sinistra e destra fanno convergere i voti su quest’ultimo, che diventa presidente della repubblica. Questo porterà a una lenta, quasi impercettibile, ma decisa islamizzazione della Francia. Così François-Meursault viene licenziato dall’Università con una buona pensione, a meno che… gli si fa intendere, se si convertirà all’Islam egli verrà riassunto con un salario non inferiore ai 10.000 euro mensili; e potrà avere più di una moglie, come è consentito agli islamici, e tutte minorenni. Alla fine François si sottometterà, si convertirà all’Islam. Avrà insomma quel che ogni regime politico, democratico e non, nel fondo promette a ciascun uomo, “soldi e f…”; e alle donne, “soldi, c…. e figliolanza”. Ci sottomettiamo veramente al potere non tanto quando obbediamo ai suoi ordini, piuttosto quando accettiamo i benefici privati, spesso scandalosi, che esso ci offre.

Il libro uscì a ridosso degli attentati contro Charlie Hebdo nel gennaio del 2015, ma prospetta uno scenario inverso a quello del terrorismo: questo offre l’immagine di un Islam pazzo, feroce e fanatico, e quindi porta acqua al mulino di Marine Le Pen. L’islamismo di Sottomissione al contrario è bonario, rispetta le norme democratiche, è rassicurante. Nessuno viene costretto a convertirsi all’Islam, eppure il paese si islamizza. Questo potere democratico seduce ciascun cittadino, chiedendo in cambio ben poca cosa, quasi niente (nel caso di François, una sua conversione formale all’Islam). Non è affatto un regime repressivo, come quello di Erdogan oggi in Turchia, o come quello cinese, o altri. Non c’è bisogno di reprimere i cittadini perché li si compra. Parafrasando quel che dice il prete al signor K. in Il Processo di Kafka: “Il potere non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai”.

Il fatto che Islam significhi sottomissione fa di questa mussulmanizzazione della Francia una sottomissione alla sottomissione. Un personaggio, rasentando la blasfemia, paragona la sottomissione islamica a quella della bella O in Storia di O, il celebre romanzo pornografico di Pauline Réage: come O accetta volontariamente di essere schiava sessuale di vari uomini e ne gode, analogamente c’è un godimento nel sottomettersi all’altro. Servitù come elevazione spirituale.

Troviamo il potere soft, che non obbliga ma seduce, in molti altri campi, forse in tutti. Anche nelle università e negli istituti di ricerca accade la stessa cosa. Quando una certa teoria o approccio prevale, chi vuol fare carriera si deve allineare. Quanti economisti in questi ultimi decenni sono passati – ovviamente perché sinceramente convinti… – alla teoria economica del free market?

 

           Alcuni aneddoti tratti dalla mia esperienza, e che riguardano l’Italia.

Anni fa un mio amico medico brigò un posto di primario in psichiatria in un importante ospedale cattolico. L’ospedale è considerato di larghe vedute, ma vige una legge tacita, non scritta: che i primari devono essere cattolici. Il mio amico finora non aveva mostrato alcuna inclinazione confessionale, eppure cominciò a parlarmi di afflati religiosi e a darmi testimonianza di una sua fede così intima e discreta che nessuno se ne era accorto prima. E lo ripeteva a me che pur non avevo alcun potere di fargli avere il posto. Lo diceva per auto-convincersi di essere cattolico, per auto-convertirsi. La pulsione opportunista è così abile che riesce a essere quasi sempre a convincere l'opportunista che lui o lei sono in perfetta buona fede.

Il potere sa corrompere con tale raffinata discrezione che uno può addirittura non rendersi conto di essere stato corrotto. Anni fa un mio amico giornalista scrisse su una rivista minore un’inchiesta sui farmaci, denunciando le case farmaceutiche per intossicazione sistematica della popolazione. Dopo qualche giorno dalla pubblicazione dell’inchiesta, un dirigente di una importante casa farmaceutica italiana lo chiamò al telefono dicendogli: “Siamo completamente d’accordo con il suo articolo. La nostra azienda punta difatti a prodotti naturali, siamo sulla sua stessa linea. Vorremmo assumerla come nostro consulente.” Il mio amico, giovane ma non sprovveduto, accettò. In sostanza, la sua consulenza consisteva nell’essere invitato in “congressi” in magnifiche località in cui non gli veniva chiesto di intervenire, da Cortina a Cortona alla Sardegna. Di fatto, non gli facevano fare nulla. In uno di questi pseudo-congressi in una località balneare molto lussuosa, quando la sera si ritirò nella sua stanza d’albergo trovò nel letto una deliziosa ragazza nuda. “Come lei è finita qui?” Sembrava che ci fosse stato un errore dell’hotel, che due persone diverse fossero finite nella stessa stanza. Il mio amico approfittò dell’errore, e passò la notte con la ragazza sconosciuta; che non si sottrasse a giochi sessuali. Il mio amico si innamorò di questa ragazza piovuta dal cielo. Seppe che era un’operaia di Genova (come un’operaia di Genova poteva finire in un albergo di lusso?), cercò di rivederla. Ma lei si sottrasse a nuovi incontri.

           Dopo che mi raccontò tutta questa storia, gli chiesi: “Ma poi, hai mai scritto articoli sui farmaci?” No, mi disse. D’un tratto, dopo anni, tutto gli apparve finalmente chiaro: la casa farmaceutica l’aveva comprato. E lui non se ne era nemmeno reso conto; o meglio, aveva fatto in modo di non rendersene conto. La ragazza nel letto non era effetto di un errore dell’hotel, gli era stata messa là apposta. Fin dove comincia e fin dove finisce la consapevolezza? Da quel che ho raccontato, sembrerebbe che il mio amico sia un sempliciotto che non ha capito nulla di quello che gli è accaduto. Ma da un altro punto di vista è come se avesse capito tutto – difatti non ha scritto più contro i farmaci.

           Sono esempi di corruzione individuale. Ma il potere può comprare interi popoli. E’ quando cerca di dare qualcosa a tutti, anziché promettere sudore lacrime e sangue, come il grande statista sa promettere.

Che hanno fatto i vari governi che si sono succeduti per decenni in Italia, se non comprare il consenso di massa? Se così non fosse stato, il debito dello stato non sarebbe salito al 135% del PIL come è ora. Pagheranno le prossime generazioni (ma la nostra è già prossima). Tutta la critica di bassa lega che si fa contro “la casta” politica, in Italia e altrove, camuffa la verità: il problema grave non è che i politici si approprino di risorse levandole al popolo – anche se qualcuno fa anche questo – ma che essi al contrario diano troppo se non a tutti certo a troppi, che cerchino di soddisfare tutti i desideri particulari, con la conseguenza di indebitare la nazione fino al collo. Molti di noi, nel loro piccolo o grande, a propria insaputa o meno, si sono lasciato “comprare” con panem et circenses, con pane e feste regalate dal potere.

Houellebecq ha scelto lo scenario dell’islamizzazione della Francia proprio perché è il più improbabile, ma avrebbe potuto parlare di una Francia dominata dai comunisti, dagli “identitari” come li chiama lui nel libro, ecc. La sua è una dimostrazione per assurdo. Gli interessava mostrare che in democrazia un regime si basa sempre su un certo consenso, anche se comprato. Il libro “punge” perché da una parte ci descrive una situazione fantasiosa, ma dall’altra sentiamo che questo scenario è del tutto attuale e concreto.

Sia i governi democratici che le dittature si basano sul consenso. Non è possibile fare sondaggi in Corea del Nord. Ma se fosse possibile, scommetterei con sicurezza che il regime folle di Kim Jong-un gode del consenso della maggioranza dei coreani. Come il fascismo da noi godé del consenso popolare per molti anni.

Si è concordi nell’affermare che il regime sovietico ha goduto di ampio consenso popolare fino agli inizi degli anni ’80, poi l’ha perso; e dieci anni dopo è finito il comunismo. Il vantaggio delle democrazie è che sono più rapide nel registrare il dissenso di massa; con la democrazia il comunismo sarebbe crollato dopo cinque anni, non dopo dieci. Perché la stampa libera si fa portavoce del malcontento e lo amplifica. Perciò le democrazie sono politicamente più instabili delle dittature. Ma recepiscono più finemente l’umore popolare.

In fondo, tutti i regimi, dittature o democrazie, cercano comunque di fare il Bene del popolo. Ma la prospettiva si potrebbe rovesciare: ogni oligarchia, democratica o dispotica che sia, cerca di mantenersi al potere, o di acquisirlo, dando a ciascuno quel che lui o lei considera essere il proprio bene. Non è che le élite politiche mirino essenzialmente al bene del popolo, ma hanno bisogno dell’assenso del popolo per dominare.

           Ognuno di noi di fronte a un potere – politico, scientifico, massmediatico, persino estetico – si trova in una situazione simile a quella del protagonista di Sottomissione. Perché ognuno di noi è libero di scegliere. Nel romanzo François potrebbe rifiutare di convertirsi all’Islam, tanto ha già una discreta pensione che gli permetterebbe di raggiungere in Israele la ragazza che lui crede di amare. Ma non lo fa. Preferisce convertirsi all’Islam.

         Nel libro questa islamizzazione fantapolitica della Francia è una parabola. La verità è che molti di noi, forse tutti noi, siamo volontariamente sottomessi.

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