Flussi di Sergio Benvenuto

OLISMO/ INDIVIDUALISMO. UN FALSO DILEMMA DELLE SCIENZE SOCIALI [1] 07/lug/2016


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              Sin dai greci, si ripropone ciclicamente un problema: se i concetti universali abbiano realtà, o abbiano realtà solo gli individui.  "Io vedo il cavallo, non la cavallinità", ribatteva a Platone Antistene il Cinico; al che Platone avrebbe risposto che, a chi è cieco all'idea di cavallinità, "nessun linceo potrebbe mai dare la vista."[2]  Questa antica controversia ritorna nelle moderne scienze sociali.  Per gli individualisti (spesso identificati ai nominalisti del Medioevo) - la linea Menger-Weber-Hayek - la realtà sociale ultima è costituita dagli individui; mentre le grandi entità collettive, come la Chiesa, lo Stato, le classi sociali, ecc., sarebbero solo nomi che diamo a certi raggruppamenti di individui.  Ciò che appare come un Tutto organico è riducibile al risultato di una miriade di azioni individuali.  Invece per i moderni platonici, oggi detti olisti[3] o collettivisti - la linea Durkheim-Parsons-Lévi-Strauss-Althusser - le entità sociali sarebbero prime rispetto agli individui, in quanto condizionerebbero non solo l'azione, ma anche credenze, desideri e scopi, quindi "l'identità", degli individui.

              Per l'atomista (preferiamo questo termine a "individualista") credere in realtà sociali che trascendano gli individui è un'illusione.  Come spiattellò, con poco tatto filosofico, Lady Thatcher: "la società non esiste".  "La base ontologica dell'individualismo metodologico - scrive l'atomista Watkins[4] - è l'assunto secondo cui la società... è costituita realmente solo dalla gente, people."

              Per l'olista invece l'irriducibile libertà di decisione dell'individuo è un'illusione: la prescrizione "sii diverso da ogni altro, fai solo quello che desideri tu", insomma l'individualismo, è un prodotto, non una causa, della storia.  Comunque, sia l'atomista che l'olista, denunciando la posizione avversaria come illusione, affermano di cogliere un ordine di realtà al di là delle illusioni dei sociologi come della gente comune: ambedue compiono una scommessa metafisica, in forza della quale ciò che non appartiene alla realtà profonda sarebbe illusione.

              Di solito l'olismo si presenta in tre principali tendenze: (1) storicista (come in molti hegelo-marxisti), (2) strutturalista (il cui modello sono la linguistica saussuriana o di Sapir e Whorf, o l'antropologia strutturale), (3) sistemico-relazionale (come in Bateson o Luhmann).  L'olismo si declina quindi secondo quelle che chiamerei le tre S: storia, struttura, sistema.

              Per questi olismi, è la Società o la Storia a promuoverci individui, cioè individualisti - gli individui sono un prodotto dell'individualismo.  Nelle sue forme più sofisticate, l'olismo quindi denuncia un paradosso logico-esistenziale della condizione del soggetto moderno.  Insistendo sugli effetti di anomia, cioè di crisi delle regole, l'olista difatti descrive la società in cui egli vive come una società che antinomicamente spinge i propri membri a desocializzarsi, avviluppandoli in contraddizioni etiche e pragmatiche. 

              Ma l'opzione per l'atomismo come quella per l'olismo porta a un double bind teorico.  L'individualista ben presto deve confrontarsi col fatto che alcuni individui possono vivere solo se vengono integrati e disciplinati in una chiesa, in un partito o movimento filosofico o accademico rigido, se possono far parte di un'organizzazione monolitica attorno a un capo carismatico.  Ora, le tesi atomistiche rendono conto delle organizzazioni olistiche a partire dal bisogno di alcuni individui di essere parte di organizzazioni olistiche e totalitarie.  Ma questo bisogno è esplicativo solo nella misura in cui la possibilità di queste organizzazioni che disciplinano l'individuo è già inscritta nella vita sociale.  Insomma, l'individualismo finisce con il "fondare" ogni approccio olistico, in quanto bisogno primario di molti (o di tutti gli?) individui.  Rinunciare all'individualismo è in effetti una potente esigenza di molti individui.

              Ma anche l'olista finisce in un double bind presto o tardi, non appena egli provi a render conto olisticamente della propria sociologia.  In effetti, se affermo che ogni individuo alla fin fine può non solo agire ma anche pensare solo all'interno dei quadri della propria società, sfocio nel relativismo; ma se la sociologia non riesce a pensare fuori dai quadri della propria società, se non può cogliere la specificità delle altre società, essa si dissolverebbe.  Per recuperare universalità e oggettività, io olista sarò allora costretto a escludere almeno me stesso dalla spessa rete sociale che determina azione e pensiero degli individui.  Insomma, per poter rendere plausibile la mia tesi olista, devo finire con l'abbracciare una specie di atomismo ad hoc, o di emergenza, che renda possibile me stesso come sociologo capace di cogliere la mia società come un tutto che includa me stesso.  Per poter cogliere qualcosa come un tutto, devo trasportarmi - se non altro virtualmente - fuori di questo tutto, escludermi da esso, come individuo assoluto, absolutus dal Tutto di cui pur faccio parte.  La presenza stessa del sociologo olista è una prova inoppugnabile dell'individualismo sociologico.

              Insomma, sia l'atomismo che l'olismo saranno sempre incompleti, e quindi in quanto tali confutabili: per completarsi, hanno bisogno di appoggiarsi alla concezione avversa.  Si completano solo se ammettono la loro incompletezza, il che è appunto un paradosso, un double bind.

 

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              C'è un senso in cui tutti, anche gli strutturalisti più ferrei, siamo atomisti: tutti ammettiamo che affinché ci siano stati nazionali e idee, chiese e classi sociali, ecc., ci debbano pur essere uomini, donne e bambini in carne e ossa che facciano da supporto a tutto ciò.  Gli esseri umani costituiscono quella che i greci chiamavano ulé, "materia", senza la quale non ci sarebbe alcuna morphé, "forma" sociale: gli individui sono la causa materiale (per usare i termini di Aristotele) delle forme sociali.  Ma questo è individualismo in un senso banale, che non porta molto lontano.  Gli individui possono assurgere a causa non solo materiale delle forme sociali?

              Gli atomisti presentano gli individui soprattutto come causa efficiente di ogni costellazione sociale: tutte le apparenti entità sociali trovano la loro causa elementare nelle relazioni tra individui.  Ma a loro volta l'in-dividuo è analizzabile - divisibile - come fasci di desideri, azioni, progetti: esso pare spinto da cause efficienti (pulsioni, bisogni) e tirato da cause finali (progetti, scopi).  Allora perché dire che la realtà ultima è l'individuo, e non i desideri e progetti in cui gli individui sono analizzabili?  "Individuo", "atomo", è ciò che non può essere diviso.  L'olista di solito dirà invece che l'atomo è divisibile, e che desideri e progetti dei singoli sono a loro volta effetti, la cui causa formale è la storia/struttura/sistema sociale nel suo insieme.  In termini aristotelici: l'olismo dice che nelle società la causa formale precede le cause efficienti e finali[5].

              Quindi, l'individuo appare a sua volta divisibile in istanze - spesso eterogenee e conflittuali - che lo causano.  Si obietta all'atomista: "ma come fai a presupporre che a un corpo fisico distinto dagli altri corrisponda un'unità indivisibile?"  Un freudiano, per esempio, dirà che ogni individuo è costituito in realtà da tre persone - Es, Io, Super-Io - per lui l'atomo non è tale, ma divisibile.  E il Super-Io, l'istanza delle regole genitoriali nell'individuo, rappresenta il legame inscindibile di ogni atomo con leggi e regole sociali, che germinano dal suo interno, per così dire.  Anche ad altre teorie biologiche e antropologiche gli in-dividui appaiono analizzabili.  L'etologia, ad esempio, sposta lo sguardo dalla razionalità dell'individuo umano alle "ragioni della natura", di cui spesso il singolo non è consapevole.  L'etologo evidenzia gli istinti ereditariamente trasmessi agli individui.  In questo modo l'individuo viene come saltato: egli diventa il luogo di tensione fra da una parte istinti ereditati che si situano al di qua del singolo da una parte, e dall'altra certi oggetti esterni che attivano questi istinti al di là del singolo.

              Comunque, anche se rigetta le teorie di Freud, Jung, o Konrad Lorenz, l'atomista prima o poi si rende conto che l'indivisibilità dell'individuo è un assioma lungi dall'essere autoevidente.  Gli atomisti sono costretti a dotare questi individui di qualità che impediscano la loro disgregazione logica, che facciano insomma degli individui appunto degli atomi, degli indivisibili.  Egli deve "costruire" questa individualità dell'individuo.  Quindi l'atomista include di solito un presupposto determinante: e cioè che le realtà sociali sono ("per lo più", aggiungono cautamente alcuni) l'effetto di azioni fondamentalmente razionali da parte degli individui.  Scrive Weber: "Il mondo intelligibile immediato delle strutture dotate di senso di un agire è l'agire orientato soggettivamente in una rigorosa maniera razionale sulla base dei mezzi, i quali sono ritenuti (soggettivamente) adeguati per conseguire scopi (soggettivamente) concepiti con precisione e chiarezza.  E ciò per lo più presuppone che quei mezzi appaiono appropriati in vista di questi scopi anche al ricercatore."[6]

              Quando agisco secondo calcoli economici, egoisticamente, il mio ego appare unito e indiviso.  Su questo ego "economico" dell'individuo l'atomista punta tutte le sue carte[7].

              L'atomista certo ammette che ogni individuo è sottoposto a desideri incompatibili.  "Ma - ribatte - come nello scambio economico l'acquisizione di un oggetto desiderabile comporta sempre un costo, analogamente suppongo che l'Io indivisibile, sottoposto a desideri conflittuali, farà comunque una scelta.  Farà magari una scelta sbagliata, ma non si potrà dire che sia una scelta irrazionale".

              Questa mossa ha grandi vantaggi argomentativi: qualunque scelta un essere umano possa fare, potrà sempre e comunque essere interpretata come razionale.  Ma i benefici di questa manovra concettuale sono anche il suo costo, esorbitante in epoca di diffuso popperismo.  Un popperiano difatti gli dirà: "la tua teoria sarà una teoria autentica se mi fornirai un solo esempio di possibile comportamento umano che potrebbe falsificare la tua teoria, un comportamento sicuramente irrazionale, o spiegabile solo con l'influsso del contesto sociale."  Dubito però che l'atomista sia in grado di fornire all'arcigno falsificazionista un solo esempio che potrebbe smentire l'atomismo.

              L'adeguazione del mezzo allo scopo è il criterio della razionalità.  Ma possiamo dire che c'è una razionalità nello scopo stesso?  Ovvero, quale può essere lo scopo di ogni scopo razionale?  Di solito, per l'atomista deve considerarsi razionale qualsiasi scopo che abbia per scopo finale il piacere o la felicità dell'atomo - è questo il suo assioma utilitarista, anche se non sempre esplicitato.  Non è qui il luogo per confutare i fondamenti utilitaristici [di gran parte] dell'atomismo sociologico.  Mi basterà qui accennare al carattere anch'esso non falsificabile dell'utilitarismo, che in ogni comportamento umano - dallo stilita eremita che vive di digiuni fino al libertino più godereccio - vedrà sempre e comunque il perseguimento dell'utile.  Ma l'utilitarismo resta muto di fronte alla domanda sociologicamente interessante: ammesso che tutti gli esseri umani cercano comunque di essere felici, perché puntano su modi di essere felici spesso così abissalmente diversi?

 

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              Sia l'olismo che l'atomismo sono dominati da un pregiudizio di razionalità.  L'atomista presuppone che le azioni degli individui siano sempre e comunque razionali, anche quando appaiono illogiche; l'olista giura sul fatto che la Società ha la sua Ragione che spinge gli individui spesso a comportamenti che vanno anche contro i propri ragionevoli (per il sociologo) interessi.  In etrambi i casi, il presupposto di razionalità relega l'irrazionalità al rango di apparenza superficiale.  La sola differenza è che per l'atomismo il soggetto di ragione sono gli individui, mentre per l'olismo l'Astuzia ragionevole è della società stessa presa nel suo insieme.  E' la perspicuità di quella che chiamo Sociologia Razionale - nella sua doppia faccia olista e atomista - che va confutata.

              Sulla scia di Pareto molti pensano che mentre l'homo oeconomicus sia per definizione razionale, l'homo sociologicus[8] compia soprattutto azioni illogiche.  Ma l'atomista si picca di mostrare che le azioni che paiono illogiche non sono tali, e che, quindi, non c'è differenza fondamentale tra homo oeconomicus e homo sociologicus.

              Ma escludendo l'illogicità l'atomista resta a sua volta prigioniero dell'idea secondo cui è sempre possibile discriminare scelte assolutamente o fondamentalmente logiche, e scelte assolutamente o fondamentalmente illogiche.  Questo pregiudizio ne implica un altro, quello della libertà: per lui l'homo sociologicus è razionale perché compie scelte sulla base di un libero calcolo utilitario.  (Ma anche l'olista, proprio perché invece nega in gran parte all'individuo questa libertà, interpreta il determinismo sociale sulla base della categoria della libertà, anche se negativamente.)

              Molti atomisti negano di affermare che l'homo sociologicus non è fondamentalmente diverso dall'homo oeconomicus.  "Anche noi sappiamo - dicono - che, per esempio, i tassi di suicidi spesso sono più alti nei paesi ricchi e prosperi che in quelli poveri e sfasciati.  Sappiamo che si deve tener conto delle 'abitudini' e 'valori interiorizzati' degli attori sociali, che rendono spesso le loro azioni apparentemente pseudo-razionali o assurde".

              Un tossicomane afro-americano di Harlem è un homo oeconomicus quando preferisce comprare il crack, a parità di qualità, da un pusher che glielo vende per qualche dollaro in meno.  Ma lo stesso tossicomane diventa homo sociologicus quando qualcuno si chiede perché quel nero, come si vede nel film Jungle Fever di Spike Lee, preferisce rovinarsi col crack anziché diventare, come suo fratello, un rispettato architetto.  E si conferma sociologicus quando il sociologo, avendo letto una serie di statistiche, constata che la comunità di Harlem è particolarmente vulnerabile al crack; se invece le statistiche gli dicessero che il consumo della droga si distribuisce in modo omogeneo in tutti i gruppi sociali, quel tossicomane scadrebbe a homo psychologicus o neurologicus.  Ora, il sociologo individualista cerca di applicare la logica utilitaria dei costi e ricavi anche a ciò di cui l'economista non si occupa, vale a dire alla scelta di darsi al crack anziché all'architettura.  Dirà allora che ad Harlem diventare facoltosi professionisti è una prospettiva improbabile, soprattutto per chi si rende conto di non avere grandi talenti, ragion per cui è "ragionevole" puntare sul piacere effimero ma certo della droga piuttosto che sul piacere prolungata ma dilazionato e incerto dell'agiatezza rispettabile.  E' vero che decidere di intraprendere la carriera del junkie piuttosto che quella dell'architetto non è proprio eguale alla decisione di investire i propri soldi in un appartamento in città anziché a Long Island, ma la logica delle due decisioni per l'atomista è sostanzialmente la stessa; la prima implica delle inferenze solo un po' più complesse.

              L'obiezione classica dell'olista è che l'atomista riduce l'homo sociologicus all'homo oeconomicus, mentre le forme di vita sociali sarebbero più ricche della forma di vita economica.  In effetti, quando facciamo degli affari cerchiamo di essere sempre razionali ed egoisti.  Quando invece ci innamoriamo perdutamente, o ci convertiamo a una religione, o ci uniamo a Madre Teresa di Calcutta, non cessiamo di essere razionali ed egoisti?

              Gli economisti comunque non fondano i loro calcoli sul presupposto che gli esseri umani siano sempre, o per lo più, o fondamentalmente, razionali.  L'economista si interessa allo scambio solo nella misura in cui è razionalizzabile, calcolabile.  Gli operatori economici reali, anzi, sanno che il consumatore compra anche cose assurde, dannose.  Il fumatore di crack diventa interessante per l'economista solo nella misura in cui preferisce comprare la droga dal pusher che la fa pagare qualche dollaro in meno.  Si può fare l'economia anche del suicidio; ma ciò non fa necessariamente del suicidio qualcosa di razionale.

              L'atomista filosofico, invece, prescrive a se stesso questa regola: "in ogni atto umano, anche il più assurdo, autolesionistico, nevrotico, devo trovare la ragione (cioè, di solito, il Principio di Piacere o di Felicità)."  Gli uomini gli appariranno sempre razionali perché egli ha deciso di scovarvi comunque una razionalità.  Come nella sua decisione ontologica ("considererò reali solo gli individui, così mostrerò che solo gli individui sono reali"), anche nella comprensione delle ragioni individuali opera un'argomentazione circolare ("a priori considererò razionale qualsiasi motivazione; in questo modo dimostrerò a posteriori che le azioni umane, qualunque ne siano le motivazioni, sono razionali").

              Allora avrà voglia l'olista di moltiplicare tutti gli esempi che mostrano attori umani accecati da passioni, da imperativi morali, da pregiudizi e condizionamenti sociali.  La macchina riduttrice dell'atomista non si incepperà per questo.  Anche se mi butto "durkheimianamente" dalla finestra perché la mia squadra di calcio ha perso (accade questo non di rado in Brasile), l'atomista attiverà il suo impeccabile shaker concettuale: anche buttarsi dalla finestra sarà un atto razionale - cioè utilitario - in quanto l'Io in questione preferisce morire anziché essere deriso da tutti gli amici del bar, perché la sua squadra è finita in serie B.

 

4

 

              La principale argomentazione olista consiste invece nell'elencare tutti i fenomeni sociali nei quali gli individui paiono avere poca scelta.  Esempi preferiti[9]: la moda d’abbigliamento e il linguaggio.  Se la maggioranza delle donne adotta la mini-gonna, l'individuo femmina che porterà sottane lunghissime verrà criticata, socialmente sanzionata.  Quando parlo una lingua, essa non è mai di nessuno in particolare: se voglio comunicare, mi devo piegare alle sue regole.  E così via.  Ma è tutta fatica sprecata, perché qualsiasi esempio l'olista potrà escogitare ciò non impedirà mai all'atomista di "tradurlo" in un processo le cui cause efficienti sono individui.  Del resto, l'individualista si guarda bene dal dire che io individuo non subisco condizionamenti sociali.  Watkins si lamenta anzi del fatto che la posizione individualista venga confusa con un'altra, del tutto non plausibile: quella secondo cui i fatti sociali "rifletterebbero" le disposizioni degli individui che compongono quei fatti.  All'atomista vero preme solo descrivere questa società che mi condiziona come il risultato di una miriade di scelte degli altri individui: analizzare questo olon in atomi.  Siccome causa materiale dei fenomeni sociali saranno sempre organismi fisicamente distinti, l'atomista avrà sempre buon gioco nel ridurre ogni caso invocato dall'olista a qualcosa come il parallelogramma delle forze, dove le forze sono gli atti progettuali degli individui.  Prendiamo anche il caso dell'individuo che rinuncia alla vita per obbedire a un imperativo etico-sociale -  ad esempio, il codice d'onore militare nipponico prescriveva al soldato di farsi uccidere pur di non farsi prendere prigioniero[10].  Ma l'individualista non si smonterà certo per così poco.  Potrà sempre dire che questo codice marziale è tenuto in vita da una serie di giapponesi singoli; interpreterà la materialità degli individui come causa efficiente del fatto sociale.  E se poi l'atomista è utilitarista, il gioco sarà ancora più facile (anche se popperianamente più catastrofico): dirà che anche il soldato giapponese sceglierà il proprio Piacere o Felicità, perché tra il dispiacere di perdere la vita e quello di perdere la faccia sceglie quello per lui meno spiacevole.

              Ma abbiamo visto che questo trionfo scontato dell'atomista è anche ciò che lo danna.  Benché spesso gli individualisti si dichiarino popperiani, il loro approccio è non-falsificabile: proponendo un linguaggio promosso a "basilare", sarà sempre possibile per loro tradurre - spiegare - qualsiasi cosa in questo linguaggio.  Così saremo sempre in grado di tradurre qualsiasi enunciato olistico in una serie di enunciati individualistici, e viceversa.  Ma così come la possibilità di tradurre ogni frase italiana in inglese non dimostra affatto la superiorità dell'inglese sull'italiano, così la mera capacità di tradurre tutto in termini atomistici non evidenzia alcun primato dell'individualismo - e viceversa. 

              Così come ogni linguaggio in linea di massima traduce qualsiasi altro, così ogni linguaggio meta-sociologico - individualistico od olistico - in generale è capace di "rappresentare" qualsiasi altro.  Sia l'olista che l'atomista asseriscono che le loro traduzioni sono perfette, o comunque migliori di quelle del rivale.  In effetti, due metafisiche, come due lingue, sono traducibili l'una nell'altra; ma il razionalista vede il linguaggio in cui si traduce - atomista od olista - come quello fondamentale.

 

5

 

              Se la tesi dell'atomista si risolve in argomentazioni circolari, le cose non vanno molto meglio per l'olista.  Il suo assioma deterministico descriverà l'agire degli individui come condizionato, o determinato, sempre dal sistema/ struttura/ processo storico di cui è elemento.  Anche questo presupposto è non-falsificabile.  In effetti, qualcuno chiederà, come spiegare allora gli eccentrici innovatori nella storia?  Come spiegare l'emergere quasi improvviso di Masaccio, che rompe con lo stile gotico dell'epoca? O di Galileo in un contesto scientifico ancora aristotelico?  O di Rousseau che teorizza per la prima volta i valori democratici?  Dei Beatles che cambiano la musica popolare?

              Di fatto l'olista si rifiuterà di ammettere la rilevanza di alcuni individui eccezionali.  Egli metterà in rilievo - e, purtroppo per lui, sempre con successo! - il ruolo determinante del contesto nell'accettare queste innovazioni.  Infatti, osserverà, se l'innovatore non avesse trovato consenso nella sua società egli sarebbe finito in galera, o in manicomio, e oggi non sapremmo nemmeno della sua esistenza.  Masaccio, Galileo, Rousseau o i Beatles hanno avuto tutti, invece, una straordinaria fortuna culturale.  I semi singoli possono avere qualità eccezionali, ma il loro fiorire dipende tutto dal terreno.

              L'olismo reinterpreta quindi l'irruzione innovativa di singoli o piccoli gruppi come un processo in realtà interno al sistema/struttura/storia sociale.  E anche questa tesi è inconfutabile.  In effetti, se un eccentrico è riuscito a influenzare il gruppo sociale, sarà sempre facile "dimostrare" che la mutazione è del gruppo sociale e l'azione dell'individuo che l'ha promossa è occasionale.  L'argomento è circolare: si considera sociologico solo ciò che ha successo storico, per cui gli atti singolari che hanno successo storico vengono reinterpretati ipso facto come eventi sociologici.

              Ma come l'atomista si trova a disagio nell'affrontare tutti i fenomeni di eredità sociale e di tradizionalismo, analogamente l'olista si troverà spesso in difficoltà nel trattare i mutamenti storici.  Se l'azione efficace dei singoli è sempre determinata dal sistema sociale, perché i sistemi sociali mutano?  Egli deve allora supporre che ogni sistema contenga sempre linee di fuga, squilibri.  Ma come fa un sistema - che per definizione è un insieme di processi che si ripetono ciclicamente - a contenere questi squilibri eversivi?

              La risposta più tipica è che il sistema non è mai da solo, ma sottoposto alle pressioni dell'ambiente.  Siccome un sistema per definizione è sempre adattato al proprio ambiente, il mutamento del sistema accade perché il suo ambiente muta.  Questo ambiente è il magma che contiene tutto-ciò-che-non-è-elemento-del-sistema; quindi, anche l'emergere improvviso di individui o di atti non inscrivibili nel sistema.  Il mutamento viene sempre dall'esterno, e l'esterno può essere anche l'individualità creativa di novità assolute.  Quegli individui che l'olismo aveva buttato fuori dalla porta, rientrano dalla finestra come "irruzioni ambientali".  Su questa linea, potremmo mostrare che l'olismo sistemico si regge su basi atomistiche, reinterpretate come "ambiente".

              In effetti, diciamo con molta sicumera, ma sempre col senno di poi, che Masaccio è prodotto dalla cultura fiorentina dell'inizio del ‘400.  Ma non saremo mai in grado di prevedere la comparsa di Masaccio esaminando accuratamente Firenze e la pittura fiorentina dell'inizio del ‘400.  E così oggi possiamo tracciare per il prossimo secolo degli scenari più o meno probabili, ma nessuno sa come sarà il mondo fra un secolo.  Il determinismo olistico è sempre un gioco retrospettivo: siamo in grado di prevedere con sicurezza ben poco del futuro.  Il determinismo storico differisce perciò dal determinismo dei fisici, ben più credibile in quanto è prospettivo, si basa sulla previsione.  E questo accade non perché non conosciamo tutti i fattori interagenti, ma perché nella storia emergono differenze (costituite da individui) non determinabili.  E' vero che il classicismo masaccesco è parte della cultura generale del Rinascimento, ma prima ci voleva l'emergenza imprevedibile, ambientale, improbabile di un giovanottone soprannominato Masaccio, perché la pittura del Rinascimento prendesse quella direzione. 

 

 

6

 

              Insomma, il dibattito tra atomisti e olisti è come il dilemma dell'uovo e della gallina.  Alla base del linguaggio olistico troveremo sempre presupposti atomistici, e alla base del linguaggio atomistico troveremo presupposti olistici; ma il pregiudizio preclude dal vedere la circolarità.  Eppure, preso alla lettera, il dilemma dell'uovo e della gallina è un problema storico-biologico preciso, serio. 

              Il punto è sapere quando e dove si è verificata la mutazione.  In effetti, galli e galline derivano da un proto-pollo.  Un proto-pollo diventò gallina quando occorse una mutazione genetica, casuale.  Allora, si tratta di appurare storicamente se la mutazione, la differenza, si è verificata a livello dell'uovo oppure già nell'apparato riproduttivo del proto-pollo (che per una anomalia avrebbe prodotto un uovo o seme 'diverso').  La questione della priorità tra uovo e gallina cessa insomma di essere un rompicapo logico nel momento in cui fanno il loro ingresso in scena le nozioni di evento e di differenza.  Il problema si modifica se, piuttosto che alla risposta giusta a una domanda sull'origine assoluta ("la causa è gli atomi o l'insieme?"), ci si interessa all'evento di una differenza in un processo di riproduzione.  Dire "l'arché è l'individuo" oppure "l'arché è il collettivo preso come un tutto" è un modo di formulare non storico: è più proficuo ricostruire quando e come compare la differenza, e come essa prolifera.

              Ma l'evento differenziante è incommensurabile rispetto sia all'olón che all'áthomos: esso può prodursi a tutti i livelli della riproduzione, sia biologica che culturale.  In una società storicamente immobile, dove le generazioni si succedono senza rilevanti variazioni non c'è bisogno di spiegazioni individualistiche, perché nessun individuo introduce una differenza.  Invece in società come la nostra il mutamento è continuo, e viene idealizzato.  Ma l'atomismo, omologando gli individui come tutti razionali e utilitaristi, non rende giustizia all'evento dell'individualizzazione che ha innestato un acceleratore della Differenza nella storia dell'umanità.

 

 

7

 

 

              L'atomista e l'olista non si rendono conto quindi che le loro ontologie costituiscono due facce della stessa medaglia; non vedono mai la medaglia.  Entrambi propongono un fondamento - metodologico e/o ontologico - alla sociologia, ma i due fondamenti proposti sono fondati a loro volta su pre-supposti etico-esistenziali (e politici) che appartengono alla concezione opposta.  E ognuno dei due non si rende conto che, rovinando gli argomenti dell'altro, rovina anche i propri.  Difatti i presupposti impliciti - non confessati - dell'olista sono atomistici; e viceversa.

              E' sorprendente vedere come l'olista si ostini a portare esempi di costrizione del sociale sull'individuo.  L'olista pensa che ogni volta che un individuo si sente condizionato in qualche modo dagli altri ciò valga come prova del primato del Sociale sull'individuo.  Eppure abbiamo visto che l'atomismo è dispostissimo a riconoscere il condizionamento del singolo: solo che per lui ogni singolo è coartato dalle azioni degli altri singoli, non dalla Società. 

              Quando Durkheim definisce l'oggetto della sociologia, scrive che esso è "l'insieme dei modi di pensare, di sentire e di agire esterni all'individuo e dotati di un potere di coazione [corsivo di Benvenuto] in virtù del quale essi si impongono a esso"[11].  Ma questa "coazione" in modo sottile scardina il presupposto olistico che qui Durkheim elegge a fondamento della sociologia.  Durkheim sapeva bene che le società più armoniose, meno anomiche, sono quelle in cui l'individuo fa propri valori e modi di pensare del gruppo in modo naturale e direi gioioso.  Il durkheimiano pensa che debba partire dal fatto che se uno è nato a Treviso molto probabilmente sarà un fervente cattolico conservatore, mentre se uno è nato a Forlì sarà ateo, riformatore e comunista.  Ma se il contesto sociale agisce come causa dei valori e quindi delle azioni dell'individuo, perché descrivere questa causalità come coazione?

              In effetti, osserva Kelsen criticando Durkheim, "se ci si riferisce al fatto della coercizione esercitata 'dall'esterno' sulla coscienza individuale, allora si prende per ciò stesso in considerazione un fatto della coscienza soggettiva e si spiega questo fatto come un tratto essenziale del sociale; ma allora è finita per l'oggettività del sociale. Ma allora non è neppure il caso di parlare di 'obbligo'.  Si tratta meramente dell'effetto di una causa [...] nello stesso senso in cui si parla del riscaldamento e della fusione di un pezzo di metallo al fuoco di una fiamma.  Il fuoco 'obbliga' forse il pezzo di metallo a diventare caldo e infine a fondersi? [...] La causa è 'autorità' per l'effetto? Se la 'coercizione', in virtù della quale l'effetto segue la causa, [...] è un obbligo, allora la causa ha un carattere 'imperativo'?"[12]

              Ma perché allora Durkheim qualifica di coattivo un rapporto causale tra il tutto e le parti?

              In effetti, il cattolico di Treviso e il comunista di Forlì possono trovare, rispettivamente, coattivi il cattolicesimo e il comunismo solo nella misura in cui mettono in questione l'uno il proprio cattolicesimo e l'altro il proprio comunismo; nella misura in cui si trovano a essere in-dividui, cioè "divisi" dal loro gruppo.  "Coatta" è sempre la cultura dell'altro, mai la propria.  Se comincio a percepire come coazione la mia cultura, non è più la mia.  L'epiteto "coattivo" è adeguato insomma non al linguaggio dell'olismo, ma a quello dell'individualismo.         L'olista, partendo dal disincanto illuminista, pensa che ogni cultura limiti le possibilità di ogni individuo nella misura stessa in cui ne fa un ente sociale.  Allora il sociologo, guardando le varie società dall'alto della Scienza, contempla le varie possibilità che ogni società disegna, e rileva malinconicamente la chiusura di orizzonte (per l'individuo) che ognuna di esse costituisce.

              L'insistenza sulla coazione del Tutto sociale sugli individui mette a nudo il presupposto etico-esistenziale dell'epistemologia dell'olista: i suoi argomenti sono propaganda fidei, della fede del Disincanto Intellettuale.  Il suo ideale politico, se ne ha, è spesso quello di superare sia il cattolico di Treviso che il comunista di Forlì, per fare di ognuno una replica di ciò che lui è, cioè uno scienziato votato alla verità.  L'ideale etico-politico dell'olista è insomma individualistico: vede il Tutto sociale come coartante proprio perché implicitamente sogna un individuo non coartato, una società di puri individui disarticolati, una società non sociologica.

              Qual è invece il presupposto non-detto dell'atomista?  Il fatto che spesso gli atomisti militino nel liberismo conservatore ci mette la pulce all'orecchio.  Di solito irride le Autorità olistiche - a cominciare dallo stato - e sogna una società deregolata dal laissez-faire.  Eppure di solito gli atomisti puntellano partiti e movimenti conservatori.  In sostanza all'atomista moderno va bene la società così come essa è: il suo atomismo è la legittimazione - spacciata per metodologica, ma in realtà metafisica - dello status socialis quo.  Nella misura in cui l'atomista riconosce che gli individui fanno tra loro "sistema", egli parte dal presupposto secondo cui questo sistema, in fondo, è sempre quello ottimale, date le condizioni obiettive.

              Anche quando l'atomista si dice voltairriano, di fatto razionalizza la società così come è in tutti o quasi i suoi aspetti: non solo il mercato, ma anche la religione, lo stato, la morale corrente.  L'atomismo è il microscopio metafisico che certi intellettuali costruiscono per mostrare che l'Olon in cui viviamo ha solidi fondamenti: che il disagio di vivere nella società è illusione, perché questa società è pur sempre quella che abbiamo edificato noi per massimizzare il nostro piacere o felicità.  Ogni società realizza l'equilibrio tra la ricerca della felicità da parte di ciascuno e il costo che la felicità di tutti gli altri gli impone per raggiungerla.  Il costo può essere esorbitante per qualcuno, ma sarà sempre razionale, e quindi sempre giusto.  La difesa olistica dello status socialis quo è la base etico-politica dell'individualismo.

 

 

 

8

 

              Secondo noi, è la differenza, e non la razionalità o irrazionalità, delle azioni che costituisce l'oggetto delle scienze sociali - ogni azione è razionale o irrazionale a seconda del criterio che usiamo per giudicarla.  Olismo e atomismo puntano tutte le loro carte sulla razionalità.

              L'atomista si sforzerà di trovare comunque una razionalità utilitarista anche alle credenze superstiziose più false.  Ma se in ogni azione umana verrà ritrovata una ragione, il concetto stesso di razionalità perde la sua cogenza.  Giustamente ci rifiutiamo di dire che la natura fisica si comporta razionalmente, proprio perché non sappiamo immaginare un processo fisico irrazionale.  Possiamo parlare di azioni razionali solo nella misura in cui ammettiamo che gli esseri umani siano capaci anche di azioni irrazionali.

              Per l'olista, la Ragione sociale tende a divinizzare se stessa, ad affermare la propria onnipotenza.  Così, la falsità obiettiva di certe credenze superstiziose è il prezzo che la Ragione sociale paga per imporsi contro l'autonomia delle causalità puramente naturali. 

              Invece un approccio ermeneutico in senso lato, in quanto considera ogni azione sociale anche come un atto interpretante, vedrà sempre in ogni azione una faccia razionale e un'altra irrazionale.  Come scrive Geertz,

 

"è meglio vedere la cultura... come un insieme di meccanismi di controllo - progetti, ricette, regole, istruzioni (quelli che gli ingegneri dei computer chiamano "programmi") - per governare il comportamento. [...L'] uomo è appunto l'animale che più di qualsiasi altro dipende disperatamente da questi meccanismi di controllo extra-genetici, [...] insomma da questi programmi culturali, per ordinare il proprio comportamento."[13]

 

Questi programmi - o interpretazioni - sono sempre razionali in quanto servono a ordinare il nostro agire e la nostra visione del mondo; ma sono anche sempre irrazionali nella misura in cui non sono mai perfetti, devono sempre sacrificare delle possibilità di interpretazione e di controllo.  Ogni programma culturale punta a orientare felicemente l'uomo in un universo reso intelligibile, ma può farlo solo al prezzo di escludere parte dell'universo (che apparirà allora misterioso e inintelligibile) e parte del "cuore umano" (da cui allora emaneranno azioni che appariranno irrazionali e assurde).

 

              Piuttosto che chiederci "ha ragione l'olista o l'atomista?", dovremmo chiederci "che cosa vuol fare l'olista? che cosa vuol fare l'atomista? perché ambedue optano per un dato paradigma, e ci tengono a ribadire che è esclusivo dell'altro?"  La mia domanda non è "psicologica"; è sui presupposti dell'opzione olistica e atomista.  E' che il modo sia dell'olista che dell'atomista di descrivere a posteriori il sociale dipende da ciò che egli a priori si aspetta dal sociale.

              L'atomista dice di cercare un'empatia con tutti gli esseri umani, di mettersi nei loro panni.  Di fatto vuol mettere tutti gli altri nei propri panni, "tutti sono in fondo come me, razionali egoisti".  Non gli passa per la mente che possa esistere un gene egoista (magari un gene "sociologico"), in lui come negli altri, di cui potrebbe ricostruire o riconoscere le ragioni "altre".  Né che gli individui possano essere determinati da qualcosa come un imprinting sociale.  La sua scommessa per una metodologia esplicativa malcela quindi una volontà etico-esistenziale: universalizzare la propria razionalità strumentale.

L'olista invece ha deciso di coltivare un ideale oggettivista di scientificità: non gli interessa ritrovare negli altri ragionamenti e interessi simili ai propri, opta per l'antipatia per l'homo sociologicus da studiare con freddezza scientifica.  Ma come essere umano anche l'olista opera spesso secondo una razionalità utilitaria, e fa propri valori che sente come suoi, cioè come soggettivi.  Da qui l'inevitabile divisione del sociologo oggettivista - da cui egli tende a sfuggire, un po' come fecero nell'Antichità gli stoici, facendo dello sguardo oggettivo e disincantato sugli uomini l'ideale morale da proporre agli uomini stessi.  La legge morale1 nel mio cuore1 consisterà nella mia volontà di spiegare "il cielo stellato" (la società), nel quale è inclusa anche la legge morale2 nel mio cuore2...  Anche qui la scommessa per un preteso metodo esplicativo malcela la propria volontà etico-esistenziale.

              Quindi, scegliere tra olismo e atomismo non è scegliere la metodologia più oggettiva, ma due modi diversi - benché interdipendenti - di misurarsi eticamente col sociale.  Sono due forme diverse di intenzionalità sociale, due strategie, in qualche modo complementari, di avere a che fare con gli altri.

 

 

9

 

              Le scienze sociali, interessandosi alle differenze, si interessano a ciò che non è universale.  Il mutamento e/o la differenza sono meglio spiegati da una metodologia olistica o atomistica?  Da nessuna delle due.

              Si paragoni la società al gioco degli scacchi.  L'atomista dirà sempre che esso si riduce alle strategie dei giocatori per vincere le partite, sulla base del vincolo "ambientale" delle regole e delle mosse dell'avversario.  L'olista dirà sempre che qualsiasi giocatore dipenderà sempre dalle regole - anonime, autonome, imperative - degli scacchi.  Basta il buon senso però per capire che il gioco degli scacchi comprende ambedue le facce, e che solo la cocciutaggine metafisica di fissare un fondamento ontologico ai giochi ci porta a scegliere la faccia testa come fondante la faccia croce, o viceversa. 

              Nel maggio 68 qualcuno scrisse un articolo contro lo strutturalismo allora alla moda, dicendo che non erano le strutture a essere scese in strada a contestare, ma individui in carne e ossa. Al che Lacan reagì dicendo che quegli eventi, l’insurrezione studentesca e operaia, dimostravano proprio che erano le strutture a essere scese in strada. Oggi i due sguardi non ci appaiono affatto contraddittori. Quel che conta è che, scendendo per strada, quegli individui modificarono le strutture.

              I due tipi di ipotesi, oliste e atomiste, sono indecidibili perché ogni ipotesi fa appello a un fondamento esplicativo che però può sempre essere interpretato come rinviante al fondamento opposto.  Ad esempio, posso sempre interpretare una coppia amorosa olisticamente oppure atomisticamente.  Posso "ridurla" ai due individui che la compongono, posso cioè analizzare le pulsioni sessuali e affettive di ciascuno di essi indipendentemente da quelle dell'altro, facendo dell'uno un mero oggetto per l'altro.  Oppure posso "dissolvere" ognuno nella coppia reificata: Adamo non sarebbe l'-individuo-che-ama-Eva se non ci fosse sin dall'inizio anche Eva, e viceversa Eva non sarebbe la-donna-amata-da-Adamo se non ci fosse simultaneamente Adamo-che-ama-Eva, e così via.  Posso insomma sempre risolvere i due amanti-amati nella loro relazione, la mera esistenza di Adamo ed Eva prima della loro relazione si ridurrà allora a causa materiale che non ipoteca nulla di Adamo-ed-Eva come coppia-di-amanti-amati.  Ma abbiamo visto che una delle due opzioni - la riduzione atomista o la reificazione olista - non ha serie possibilità di soppiantare logicamente l'altra una volta per tutte.

Scrive Geertz[14]

"L'immagine appropriata - -  dell'organizzazione culturale non è la tela del ragno e nemmeno la pila di granelli di sabbia. E' piuttosto il polipo, i cui tentacoli sono in larga parte integrati pur restando separati, neuralmente connessi in modo alquanto povero sia tra loro che con il cervello del polipo, il quale tuttavia è in grado sia di spostarsi che di conservarsi, se non altro per un po', come un'entità germinabile anche se alquanto goffa". 

La tela del ragno è l'immagine olistica della società, la pila di sabbia è l'immagine atomistica; a queste Geertz contrappone l'immagine dell'ungainly octopus, della goffa piovra, cioè di un insieme non perfettamente coeso. 

              Penso anch'io che ogni cultura non sia un olon, ma piuttosto un aggregato di forme di vita diverse.  Siccome però ogni cultura interpreta a modo proprio il mondo, essa tende all'olismo ma - per fortuna - non lo raggiunge mai.  L'olismo è il sogno sociologico di ogni cultura, che non è mai tutta.  E proprio perché ogni cultura non è mai un Tutto, essa è soggetta a cambiamento.

              L’immagine del polipo certo contrasta con l'immagine della società quasi onnipotente che l'olismo classico ci ha trasmesso.  Nella tradizione durkheimiana la Società è come Dio - da qui un pericolo di sociolatria.  Per Durkheim il fatto sociale della religione è spiegato come metafora del culto che la società vota a se stessa: nel totem come nel dio, la società celebra immaginariamente la propria imperatività.  Nell'approccio interpretante, la divinità risulta essere invece una bestia goffa, alquanto scoordinata e sorprendente, e soprattutto inquietante.

              La società è "goffa e mostruosa" perché è il frutto non solo di azioni razionali e utilitarie degli individui, ma di azioni secondo interpretazioni, i cui effetti interpretativi suscitano altre interpretazioni.  Ora è irrilevante decidere se le interpretazioni - senza le quali tante azioni sono incomprensibili - siano opera di individui o della società intera.  L'importante è che siano appunto interpretazioni, che abbiano più o meno successo sociale, e che quindi producano più o meno differenze.  Considerando le interpretazioni - e non più solo le menti degli individui - soggetto delle azioni, l'approccio che preferisco rinuncia al nucleo indivisibile come base dei processi sociali: se le interpretazioni sono soggetti delle azioni, d'altra parte le interpretazioni sono a loro volta interpretazioni di altre azioni, e così in un rimando senza fine, senza fondamento originario o definitivo. 

 

 

 



    [1]Riassumo qui le conclusioni di un mio saggio in due puntate: "Olismo/individualismo - parte I", Il Mondo 3, anno II, nn. 2-3, agosto-dicembre 1995, pp. 94-114; "Olismo/ Individualismo - parte II", Il Mondo 3, anno III, n. 1-2, aprile-agosto 1996, pp. 160-181.

    [2]Simplicio, Categoriae, 66 b, 45 [208, 30ss].

    [3]Il termine è stato introdotto, in questa accezione, da Louis Dumont.

    [4]J.W.N. Watkins: "Ideal Types and Historical Explanations" in Herbert Feigl & May Brodbeck, eds., Readings in the Philosophy of Science, New York 1953.

    [5]Quindi, il conflitto tra olismo ed atomismo è un conflitto sul primato tra tipi di causalità, su che cosa si debba considerare una vera spiegazione. L'atomismo privilegia la causa efficiente, mentre l'olismo privilegia nei fatti sociali la causa formale. 

    [6]Max Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali,  Einaudi, Torino 1958, p. 242.

    [7]Non a caso, quando Watkins deve ammettere che alcuni comportamenti sfuggono ai criteri atomistici, che sono insomma "genuinely organic 'social' behavior", cita la congiunzione sessuale di una coppia, i canti estatici dei raduni revivalistici, i tumulti delle folle preda del panico o della furia.  Si tratta, in tutti questi casi, di comportamenti qualificati di irrazionali.  Ma, relegando il "genuinamente collettivo" ai margini della sociologia, questo atomista scommette illuministicamente sul trionfo della Ragione, vale a dire dei ragionamenti dei singoli.  Solo nel letto a due piazze o nelle piazze siamo "sociologici", cioè non-razionali.

    [8]Sull'homo sociologicus, cfr. Ralph Dahrendorf, Homo sociologicus: Versuch zur Geschischte, Bedeutung und Kritik der Kategorie der sozialen Rolle in Pfade aus Utopia, Monaco, Piper, 1967, pp. 127-194.

    [9]In particolare da Luciano Pellicani; cfr. Dario Antiseri & Luciano Pellicani, L'individualismo metodologico, Franco Angeli, Milano 1992. In questo libro-dibattito, Antiseri sostiene i colori dell'individualismo, Pellicani quelli dell'olismo sociologico.

    [10]Ibid., p. 141 sgg.

    [11]Emile Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Comunità, Milano 1963, p. 26; quindi "un fatto sociale va riconosciuto dal potere esteriormente vincolante che esercita o è in grado di esercitare sui singoli", p. 35.

    [12]Hans Kelsen, "Der Begriff des Staates und die Sozialpsychologie.  Mit Besonderer Berücksichtigung von Freuds Theorie der Masse", Imago, 1922, VIII, 2 (pp. 97-141), p. 130; tr.it. "Il diritto, lo Stato e la psicologia delle masse di Freud", Sic, 5, marzo 1976 (pp. 13-30), p. 26.

    [13]Clifford Geertz, "The impact of the Concept of Culture on the Concept of Man" in The Interpretation of Cultures, Basic Books, USA, 1973, p. 44.

 

    [14]Geertz, cit., pp. 407-8.

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