Flussi di Sergio Benvenuto

Politica come fallimento30/giu/2016


1.

Ernesto Laclau, in La ragione populista (On Populist Reason), pubblicato nel 2005 a 68 anni, porta a compimento il suo long goodbye dal marxismo, di cui aveva seguito la variante Althusser. Con altri filosofi della politica (Zizek, Badiou, Milner) condivide la sfida di ripensare il politico alla luce delle teorie di Freud riprese da Jacques Lacan.

Di solito, per politologi e filosofi politici il populismo è una patologia politica che colpisce masse ignoranti vittime di demagoghi. Ma di fatto, quando si tratta di definire il populismo – o “qualunquismo”, come si diceva un tempo in Italia – non si riesce mai a trovare un concetto comprensivo; così, si taccia di ‘populista’ qualsiasi movimento politico che usi un linguaggio che la politologia rispettabile considera volgare, non stilisticamente ‘corretto’, e che soprattutto non si rifà a tradizioni etico-politiche consolidate, come marxismo, confessionalismo, nazionalismo, liberalismo, ecc.

Ernesto Laclau rovescia completamente questa “denigrazione delle masse”. Per lui invece il populismo coincide con il politico stesso. “Il populismo è… un modo di costruire il politico” (p. XXXIII) e “Non c’è intervento politico che non sia in qualche misura populista” (p. 146). Perché “il popolo” è una costruzione politica, non un datum della natura sociale. Per populismo intende allora il processo attraverso cui una plebs, una massa non determinata e non rappresentata di persone, si costituisce come populus, ovvero si rappresenta come una totalità. Questo ‘popolo’ si costituisce in contrapposizione a qualcos’altro che diventa il suo ‘esterno’. Come per Carl Schmitt, anche per Laclau la politica è antagonismo, divisione tra amici e nemici.

Laclau mostra di quale valore possa essere oggi, se letta in modo non pedissequo, la teoria freudiana delle Massen, “folle”. Anche se emerge una differenza di Laclau rispetto a Freud: per quest’ultimo qualsiasi aggregazione sociale si costituisce grazie a un leader, Führer, in carne e ossa. Questi prende il posto dell’ideale dell’Io di ciascun membro del gruppo, così i membri si identificano reciprocamente. A questa funzione strutturante del capo Laclau sostituisce la funzione del significante vuoto. “Baffone”, “il Senatùr” o “il Cavaliere” potranno anche essere a un certo punto ripudiati, o passare a miglior vita, ma i significanti Comunismo, Padania o Berlusconismo potranno continuare ciascuno a ‘fare catena’.

La costruzione di Laclau scommette insomma sul primato del significante, concetto linguistico ripreso dalla rielaborazione originale che ne ha fatto Lacan. Il primato del significante in politica fu bene espresso dal personaggio di re Ubu di Jarry: “Viva la Polonia! Perché se non ci fosse la Polonia, non ci sarebbero i polacchi!” - detto in un’epoca in cui la Polonia non esisteva ancora come stato. Per capire la dinamica politica, non dobbiamo presupporre degli insiemi coerenti – classi sociali, etnie, gruppi religiosi, ecc. – prima della nominazione che essi prendono all’interno del gioco politico. Non ci sono realtà sociali precostituite che poi si rappresentano politicamente, piuttosto sono le rappresentazioni politiche a dare una identità sociale alle esigenze più svariate.

In psicologia sociale il primato del significante da tempo è scontato, anche se non lo si chiama così, ma ‘categorizzazioni’. Negli anni 50 lo psicologo turco Muzafer Sherif imbastì un esperimento intervenendo su una colonia estiva maschile. I ragazzi non sapevano di essere oggetto di una ricerca. Separò arbitrariamente i ragazzi in due baracche, chiamando un gruppo le Aquile e l’altro i Serpenti, e dando a ciascuno una bandiera. Bastò questo per creare ben presto una crescente malevolenza tra i due insiemi. Siccome gli sperimentatori lanciavano attività sportive competitive tra i due gruppi, questi incontri attizzarono reciproco disprezzo e ostilità, durante le gare i membri delle due squadre si accusavano di barare, si davano del “porco”; seguirono assalti alla baracca nemica per rubare e bruciare le loro bandiere, imbrattando le pareti con simboli minacciosi, mentre le risse alla mensa comune aumentavano giorno dopo giorno. Insomma, i ricercatori avevano dato vita a una creatura sociale, costituita da due gruppi formati a caso, che stava evolvendo in un mostro; nei termini di Lacan, bastava rappresentare due gruppi come opposizione tra significanti. In seguito, molti altri esperimenti di questo tipo sono stati fatti, dando risultato molto simili.

Per Laclau gran parte del conflitto politico segue regole non molto diverse da quella di Aquile versus Serpenti; si tratta comunque di significanti vuoti, ovvero di simboli che rendono un popolo riconoscibile a se stesso – Italia, Padania, Europa, proletariato, mussulmani bosniaci, fascismo, Palestina, ecc. Nelle società reali questi significanti vuoti – che vengono interiorizzati come propria "identità" da ciascuno dei suoi membri – sorgono spontaneamente.  Nella realtà sociale, la molla che porta ai conflitti politici sono le svariate demands, termine che in inglese significa sia domanda [per avere] che reclamo. Per Lacan fonte del desiderio è la demand.  Uno stretto collaboratore di Andreotti mi diceva che il senatore a vita soleva dire: “Il mio mestiere consiste nell’essere il luogo dove miriadi di desideri affluiscono”. (Aggiungerei: se oggi fiorisce tanto risentimento nei confronti dei politici, della “casta”, questo accade perché il presupposto è che il politico è Colui-che-Soddisferà-i-miei-desideri; ma siccome la gente constata che tanti dei propri desideri non vengono soddisfatti, allora la delusione nei confronti di questo Soddisfacitore si tramuta in risentimento e odio.) Laclau chiama “demand” quel che Andreotti chiamava “desiderio”.

 

2.

Laclau parte da una frase che Mrs Thatcher rese famosa: “La società non esiste”. Per la ‘nominalista’ Thatcher quel ‘tutto’ che chiamiamo società si risolve nelle interazioni tra individui, ciascuno con proprie credenze e desideri. Questa è la base ontologica del liberismo. Per Laclau invece all’origine delle contrapposizioni politiche ci sono delle domande-lamentele eterogenee portate dagli agenti sociali. E queste domande-lamentele trovano spesso iscrizione politica in un significante vuoto. Laclau tenta insomma una genealogia del politico partendo dal concetto di domanda, senza interrogarsi sul perché sorgano proprio quelle domande; perché la sua teoria della politica non è sociologia né psicologia, non si interroga sull’origine delle domande.

Laclau si ispira alla linguistica strutturale proponendo una distinzione fondamentale tra logica delle equivalenze e logica delle differenze. In linguistica si distinguono due assi del linguaggio, il sintagmatico e il paradigmatico. Il primo è la successione dei significanti per costituire frasi e discorsi; il secondo è la selezione che ogni parlante fa di un significante a partire da una lista implicita di termini che costituisce un paradigma linguistico. La logica delle equivalenze corrisponde al piano sintagmatico: un partito o movimento politico inanella le varie domande in una sorta di catena. Prenderò i miei esempi dalla realtà italiana.

La Lega Nord nel corso del tempo ha raccolto domande disparate: disprezzo per gli italiani del Sud e poi rigetto degli immigrati e di razze considerate inferiori, richiesta di minor centralizzazione del potere politico a Roma, protesta per le tasse troppo alte, ripristino di un’identità cattolica conservatrice, promozione delle tradizioni vernacolari e dei dialetti locali, ecc. Tutte queste domande sono state concatenate dalla Lega, ma ognuna di essa è differente dall’altra perché ciascuna appartiene a paradigmi diversi. La Lega ha subordinato tutte queste richieste variegate a una rivendicazione globale: Federalismo e, in prospettiva, Secessione del Nord. Ora, esiste un “popolo leghista” finché c’è una tensione continua tra subordinazione delle domande a un progetto politico da una parte, e autonomizzazione delle domande dall’altra. Ogni identità politica oscilla sempre tra questi due estremi: o si riduce a una totale subordinazione al significante politico (come vi si subordina il politico di professione) o a una totale autonomizzazione delle domande, ovvero all’anti-politica. Ogni domanda quindi ha una doppia faccia: da una parte è una domanda differenziale – ad esempio, “pago troppe tasse” – dall’altra ha una faccia equivalenziale, nel senso che tutte sono rappresentate da un significante vuoto, nel nostro esempio “Padania”. Questo significante vuoto costituisce comunque una frontiera; la Lega esisteva come opposizione a una serie di altri soggetti politici, l’esterno ‘eterogeneo’ e ostile (l’italianità, il cosmopolitismo, la sinistra). Ma non bisogna pensare che solo certi movimenti politici si rappresentino attraverso significanti vuoti: per Laclau, non può esistere un movimento politico, di alcun tipo, senza un significante vuoto.

La politica è insomma sempre una tensione continua, mai risolta, tra logica delle equivalenze e logica delle differenze. Per Laclau ogni agente sociale fa differenza rispetto a qualsiasi altro, e il punto è che quel che contano – come nella linguistica strutturale – sono le differenze. Ma d’altro canto, perché queste differenze si aggreghino ‘facendo sistema’, occorre una sorta di pseudo-totalità, grazie alla quale le domande di molti agenti divengono equivalenti.  Il populus come totalità non si dà mai. La dialettica del ‘politico’ secondo Laclau si impernia sul fatto che alcune parzialità diventano la rappresentazione di una totalità impossibile, assumendo quindi un ruolo egemonico. Il concetto di egemonia – che Laclau riprende da Gramsci – indica il fatto che un elemento particolare della plebs finisce con l’assumere un significato universale. “La storia è una successione discontinua di formazioni egemoniche” (p. 214) scrive lapidariamente Laclau.  Oggi la parzialità egemonica è la concezione liberal-democratica che si impone a tutti, anche nei paesi non liberal-democratici - o almeno, questo era vero fino a qualche anno fa. Da notare che questa tensione senza soluzione assomiglia al modo in cui Georg Simmel, nel famoso saggio “La moda” (1895), spiega le mode: da una parte la tendenza di ognuno di noi a imitare qualcun altro, dall'altra la tendenza di ognuno di noi a distinguersi dagli altri, generano continuamente mutamento culturale. Quindi, secondo me la tensione tra equivalenze e differenze (o tra imitazione e distinzione) potrebbe essere una tensione che va oltre la politica e impregna anche la vita culturale.

 

3.

Quel che rende fragile e mai definitiva la contrapposizione tra due o più fronti politici – ognuno rappresentato da qualche significante vuoto - è la presenza di significanti fluttuanti, ovvero di domande che possono essere inscritte sia in un fronte che in quello contrapposto. I significanti fluttuanti sono demands che possono essere “concatenate” da schieramenti del tutto diversi.

Così, il ‘popolo’ sotto l’egemonia del significante ‘Padania’ portava domande che altri progetti egemonici rivali potevano rappresentare. Per esempio, quando la Lega cominciò a opporsi al governo Monti, esibì alla Camera una sua parlamentare vestita da operaia, quale essa era prima, che lanciò un grido di dolore contro la crescente disoccupazione operaia al Nord; una messinscena che avrebbe potuto essere imbastita dal partito comunista negli anni 50. La denuncia della situazione critica dei ceti operai è infatti un significante fluttuante, ovvero un’istanza che subisce una doppia pressione da parte di due catene equivalenziali antagoniste – nel nostro esempio, della catena leghista da una parte, della catena comunista dall’altra. Tutto dipenderà da quale delle due catene diventerà egemone.

In altri casi un significante avrebbe potuto essere fluttuante, ma di fatto viene abbandonato da un fronte all’altro. Per esempio, la denuncia della magistratura come longa manus del sistema capitalistico, e dei giudici come agenti del potere, è un luogo comune della sinistra in occidente. Ma in Italia l’attacco che da anni Berlusconi lancia contro la magistratura, invocando più garantismo, è stato letto dalla sinistra italiana come una strategia del tycoon per sfuggire ai suoi processi; così la sinistra ha finito con lo schierarsi compatta a favore del potere giudiziario, abbandonando quindi il suo vecchio significante garantista. E’ accaduto solo in Italia, in effetti, che un ex-pubblico ministero come Antonio Di Pietro diventasse un leader della sinistra radicale.

Un punto fondamentale del sistema teorico di Laclau è quel che lui chiama eterogeneità.  L’antagonismo politico non è mai perfetto, completo, ma lascia sempre fuori qualcosa di ‘irrecuperabile’, una eccedenza non integrata nelle opposizioni politiche fondamentali. Era quel che Marx chiamava Lumpenproletariat, il proletariato straccione, che lui aborriva. Laclau concettualizza questa eterogeneità attraverso Georges Bataille: la parte omogenea della società respinge via da sé, come scarto, una parte inassimilabile a questa omogeneità, come i folli, le classi guerriere aristocratiche, i miserabili, i violenti, i sobillatori. Aggiungerei a questa lista, oggi, gli immigrati clandestini. Perciò Laclau dice che l’eterogeneità è un’unità fallita. Usando un altro concetto lacaniano, quello di Reale (in quanto distinto dai registri Immaginario e Simbolico), Laclau scrive che questi individui eterogenei sono il Reale del “popolo”, ciò che resiste a ogni integrazione simbolica. Laclau afferma che comunque ogni forma di omologazione grazie a cui si costituisce un popolo esige, come altra faccia del popolo, una eterogeneità. Quest’ultima è fuori del “politico”, ma ne è in qualche modo anche il catalizzatore. Ogni politicità implica la produzione di una impoliticità.

A mio parere, questa eterogeneità è anche ciò che la politica rigetta nell’illegale o nel criminale. Non mi riferisco solo alla vera e propria criminalità, ma anche a quella illegalità nel quotidiano, particolarmente diffusa in Italia: corruzione dei funzionari, mazzette, concussioni, abusi di potere, evasione fiscale, esportazione di capitali, ecc. Non si tratta di frange o atti marginali, ma di una ampia rete di ‘eterogeneità’ nella quale siamo immersi; che l’apparato giudiziario talvolta sanziona, ma che è comunque parte integrante del nostro vivere sociale. Ora, tutta questa parte criminosa o semi-criminosa del sociale non può essere direttamente rappresentata, nessuno fonderebbe un partito che abbia come programma esplicito la corruzione dei funzionari (ma, aggiungerei, molti partiti o movimenti politici implicitamente, tacitamente, esprimono esigenze criminose di una parte della popolazione).

E’ proprio vero che questa eterogeneità non è politicamente rappresentata, come dice Laclau? In qualche modo lo è, anche se obliquamente. Basti vedere come il PdL oggi si batta a spada tratta contro le leggi anti-corruzione dopo aver depenalizzato il falso in bilancio. La peculiarità del berlusconismo probabilmente consiste nell’essere riuscito a dare rappresentanza politica obliqua, una rappresentanza per anni egemonica in Italia, a certa eterogeneità. La dialettica di Laclau quindi andrebbe resa ancor più complessa, dato che l’eterogeneità anti-politica in qualche modo viene rappresentata all’interno delle equivalenze politiche, ovvero il Reale si rappresenta in seno al popolo. Il grande paradosso della politica, forse, è che l’anti-politicità viene, prima o poi, politicizzata.

In termini freudiani, questa eterogeneità - dove il particulare prevale sull’interesse comune - è istanza della pulsione di morte: è la forza che tende a disgregare il sociale. Ma senza questa spinta alla frammentazione – “ognuno per sé” – non ci sarebbe nemmeno l’Eros sociale, l’aggregazione delle domande, il costituirsi del populus.

La costruzione di Laclau è certamente importante anche perché egli finisce col privilegiare le stesse categorie che sono alla base dell’economia politica di oggi, che non è certo marxista: ovvero il ruolo fondamentale dei desideri (e delle credenze). L’homo oeconomicus è soprattutto un uomo o una donna che desiderano, e agiscono secondo le loro credenze cercando di soddisfare i propri desideri. L’espansione economica è anche e soprattutto espansione dei desideri. Anche in politica abbiamo a che fare con domande e offerte: le domande “democratiche” (come Laclau chiama le richieste di ciascuno) fanno sorgere le offerte da parte di politici e anti-politici che così diventano politici, proponendo significanti vuoti.

 

 

 

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