Flussi di Sergio Benvenuto

Un ricordo di Alberto La Volpe18/mag/2017


Conoscevo Alberto sin da bambino, perché abitava nello stesso palazzo del Vomero a Napoli dove abitavo io. Lui, di 14 anni più anziano di me, aveva una vera venerazione per mio padre, Mario, professore di storia e filosofia, che gli aveva dato lezioni di filosofia e lo aveva avviato alla politica. Da allora, non ci siamo mai persi di vista.

Entrato in RAI nel 1963, fu conduttore dello Speciale TG1 fino al 1987, e quindi per sei anni – dal 1987 al 1993 – direttore del TG2 della RAI. Quindi fu eletto deputato per i Progressisti nel 1994 nella breve legislatura che durò fino al 1996. Dopo di che fu sottosegretario ai Beni Culturali nel primo governo Prodi, e quindi sottosegretario all’Interno nel primo governo D’Alema.

 

Ma Alberto non corrispondeva per nulla al cliché del giornalista e del politico che ormai lo storytelling populista ha costruito: il giornalista senza scrupoli e invasivo, il politico cinico e calcolatore. Alberto era un gentleman prestato ai media, convinto di dover portare nel mondo spesso brutale dell’informazione istanze del socialismo. Come mio padre, fu socialista da sempre, nello stile di Nenni e De Martino. Quando non c’era molta differenza, in fondo, tra l’essere socialisti e comunisti, anche se i primi stavano al governo e i secondi all’opposizione.

Da giornalista doveva occuparsi anche di politica interna, ma mi è stato sempre chiaro che lui preferiva il respiro cosmopolita della politica estera. Si sentiva cittadino del mondo, e forse non a caso ha sposato un'americana di San Francisco, Giovanna Lauricella. Era fiero della sua battaglia, da giornalista, contro la dittatura di Pinochet in Cile; e in effetti il regime lo cacciò come “persona non grata” all’epoca del referendum che segnò la fine della dittatura.

 

Alberto ha mantenuto sempre una grande capacità di auto-ironia. Pubblicò nel 2015 un libro, RAI 643111. Il taccuino di un giornalista lottizzato (edizioni EIR), dove il lottizzato – come allora tutti in RAI – era lui. I misteriosi numeri del titolo erano la formula che per anni funzionò in RAI: 6 posti andavano ai democristiani, 4 ai comunisti, 3 ai socialisti, 1 ciascuno a socialdemocratici, repubblicani e liberali. Lui era in quota socialista, ma con quel libro voleva mostrare che non era per lui una vergogna. Parlava con fierezza della Tv che lui e altri erano riusciti a costruire. Citando Giovanni Leto, Alberto scrisse

 

Negli anni Sessanta la Tv italiana aveva raggiunto uno standard di prodotti davvero eccellente, tanto da essere considerata tra le migliori al mondo, alla pari o subito dopo la mitica BBC inglese. La Tv di quegli anni non era chiassosa, gridata, volgare, inutilmente violenta. Una Tv che cercava di trasmettere valori culturali e civili. E non è un caso che quella Tv favorì nel paese la grande maturazione democratica degli anni Settanta (divorzio, aborto), mentre quella consumistica e commerciale degli anni Ottanta è da ritenersi tra le cause della crisi, anche politica. (RAI 643111, p. 53)

 

Leggi: la RAI è culturalmente decaduta quando ha dovuto inseguire le televisioni di Berlusconi, abbassandosi al loro livello.

Era convinto insomma di aver portato temi e stili della sinistra in un servizio pubblico che era stato inizialmente accaparrato dal mondo cattolico e democristiano. Sentiva il suo lavoro come un impegno civile. Per questa ragione si è sempre vantato dell’unica condanna penale da lui subita. Divenne per dieci anni sindaco di Bastia Umbra, un piccolo centro tra Perugia e Assisi; qui rifiutò la piazza principale del paese a un comizio di neo-fascisti. Denunciato, fu condannato anche in Cassazione. Ha sempre visto questa condanna come il suo contributo alla militanza anti-fascista.

 

Quando era direttore del TG2 lo andavo spesso a trovare, e quel che mi colpiva è che, malgrado la responsabilità che aveva, non fosse mai teso, snervato, super-affaticato. Sempre rilassato, amava le battute, scherzava volentieri. Trovava sempre il tempo di parlarmi a lungo, e di ascoltarmi. Perché Alberto, da giornalista di razza, sapeva veramente ascoltare. Non ricordo mai che, anche quando mi imbarcavo in lunghi discorsi, mi abbia interrotto, anche quando stava lavorando. E non perché fossi io, credo che facesse così con chiunque lui stimasse. Sentiva che io da non-giornalista potevo dargli uno sguardo sui fatti diverso da quello giornalistico.

Perciò spesso mi portava in giro con lui per lavoro, anche se io non ero della RAI. Agli incontri non dovevo dire nulla, dovevo solo assistere; evidentemente fidava sui miei commenti successivi. Anche se, devo dire, i commenti successivi più interessanti erano i suoi, per me. Sapeva percepire aspetti che io avevo difficoltà a cogliere.

Ricordo in particolare quando mi portò a un incontro con il responsabile dell’OLP (Organizzazione della Liberazione della Palestina) a Roma negli anni 80, Nemer Hammad. Mentre entravamo nel palazzo, disse “Vedi, potremmo essere dei killer pro-israeliani, nessuno ci fermerebbe e potremmo fare un massacro”. In effetti, non c’era nemmeno un poliziotto, né un portiere. Nemer Hammad poi, tra le altre cose, ci raccontò il suo rapporto con Arafat, che fu suo ospite quando venne a Roma per incontrare il papa. A casa sua Arafat vide che in televisione trasmettevano un film erotico, e gli disse “Sono venti anni che non vedo un film!” e propose di vedere insieme quel film. Uscendo, Alberto osservò: “Arafat per vent’anni non ha visto nemmeno un film, erotico o meno. Ma il popolo palestinese i film li vede! Come uno che non vede film può capire il suo popolo?”

Alberto era comunque impressionato da Hammad, sul quale scrisse addirittura un libro, Diario segreto di Nemer Hammad ambasciatore di Arafat in Italia (Editori Riuniti 2002).

 

Lo andai spesso a trovare quando era sottosegretario alla cultura. Capii allora che gran parte del lavoro di un sottosegretario consiste nel ricevere postulanti da ogni parte d’Italia che lamentano qualcosa che non va. Alberto mi pregava di assistere a questi incontri sorridendo “Secondo me c’è molto materiale per la psichiatria!” E in effetti devo dire che, accanto a richieste serie, molte persone portavano problemi interpersonali e di convivenza dove un buon psicologo avrebbe potuto far meglio di un sottosegretario. Mi colpiva però come Alberto stesse a sentire sempre tutti, a lungo, come se avesse tutto il tempo a sua disposizione. In certi casi al suo posto avrei accompagnato alla porta il questuante, dicendogli che non avevo tempo da perdere. Ma lui no, aveva una parola per tutti. Mai arrogante, non l’ho mai sentito pontificare, né con me né con altri. Con lui, era sempre come parlare attorno a un piatto di spaghetti.

 

Ho sempre frequentato Alberto nel corso degli anni, fino a due mesi fa, quando è venuto a cena con la moglie a casa mia. Sapeva che doveva affrontare un'operazione che, data la sua età, poteva essergli fatale. Ma non sembrava né angosciato né depresso. Era l'uomo che ho sempre conosciuto: curioso di tutto, sempre pronto a raccontare qualche aneddoto della sua vita ricca, intensa, piena di viaggi. Mi mandò un suo scritto via email, voleva sapere cosa ne pensassi. Non ho avuto il tempo di dirglielo.

Mi mancherà molto. Addio Alberto

 

 

 

Sergio Benvenuto

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